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martedì 14 dicembre 2021

IL MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA – DARE VITA ALL’IMPOSSIBILE

 

Da un po’ di tempo sto covando il sogno di raccontare tutte le cose belle che Torino ha da offrire - in termini di cultura e bellezza – pertanto, qualche settimana, fa ho deciso di contattare alcune delle realtà museali più rilevanti in questa città e chiedere loro di offrirmi l’opportunità di visitare i loro spazi per raccogliere i dati necessari a svolgere il compito che mi ero prefissata. Tra coloro che hanno accolto positivamente la mia iniziativa c’è il Museo Nazionale del Cinema perciò proprio da lì intendo partire col mio reportage. Naturalmente, non prima di aver ringraziato Jenny Bertetto, responsabile dell’ufficio stampa.

Siete pronti/e per questo magnifico viaggio alla scoperta del cinema e dei suoi misteri? Sì? Bene, allora partiamo!

Probabilmente non tutti sanno che all’interno della Mole Antonelliana si cela uno dei più suggestivi Musei di Torino dal quale, tra l’altro, è possibile – grazie all’ascensore panoramico -  vedere non solo la Mole stessa, ma anche tutta Torino, dall’alto. E, quando dico “tutta”, intendo proprio tutta perché, una volta arrivati alla balconata, potete percorrere quest’ultima girando attorno alla Mole e – di conseguenza – avere una visione a 360° della città. È un’esperienza davvero meravigliosa che vi consiglio di fare, sempre che non soffriate di vertigini. Ad ogni modo, sappiate che la balconata è protetta sull’intero perimetro, perciò non c’è il rischio di cadere di sotto! Ma, a proposito di cadute, volete sapere qualche curiosità sulla Mole Antonelliana? La storia di questo edificio è a dir poco rocambolesca…

Un pezzetto di Torino visto dalla Mole Antonelliana

LA MOLE ANTONELLIANA… IN BREVE

Mole Antonelliana

Ardito, discusso e travagliato edificio di Alessandro Antonelli (1798 – 1888) è simbolo della città, riprodotto persino sulla moneta da 2 centesimi. Progettato nel 1863 come Tempio israelitico è rilevato dal Comune di Torino nel 1878 per farne sede museale. Quasi ultimato nel 1889, è stato a lungo il più alto edificio in muratura del mondo. Misura oggi 167,5 metri. Dal 2000 ospita il Museo Nazionale del Cinema, polo della rinascita cinematografica torinese. Sulla cupola vi è “Il volo dei numeri” di Mario Merz.

LE VICISSITUDINI DELLA GUGLIA

Dopo il terremoto del 1887 la guglia della Mole risultò danneggiata e il tamburo (la parte meno legata e più fragile dell’edificio) rimase deformata. L’architetto – Alessandro Antonelli – effettuò le riparazioni necessarie e rinforzò il tamburo. Nel 1888, poi, lo stesso Antonelli fece approvare l’installazione di una statua alata – Genio Tutelare della Patria e di Casa Savoia – all’apice dell’edificio. L’obiettivo era ambizioso: conquistare il primato di altezza nelle costruzioni in muratura. Così, il 10 aprile 1889, sei mesi dopo la morte di Antonelli, la statua fu issata a coronamento della Mole. Nel 1904, però, il Genio Alato fu rovesciato da un violento nubifragio e, due anni dopo, una stella fu posta in sostituzione, sulla cima. Nel 1953 una tromba d’aria fece crollare la guglia i cui lavori di ricostruzione furono ultimati solo nel 1960. Nel 1961, infatti, fu inaugurata la nuova guglia, così come la possiamo vedere oggi.

Bene, fatte queste doverose premesse, possiamo parlare del Museo.

Benvenute e benvenuti al Museo Nazionale del Cinema di Torino!

Provate a immaginare il Cinema come fosse una grande famiglia: secondo voi, chi dovrebbe stare al primo posto – ovvero nel posto più lontano nel tempo -  nell’albero genealogico? Il teatro – è esatto, complimenti! – ma, per essere più precisi, il Teatro delle ombre.


 Ed effettivamente, questo tipo di spettacolo è ciò che vi attende all’ingresso del Museo dove, in un ambiente buio, su uno schermo, appaiono delle figure semoventi: si tratta delle ombre proiettate da alcune sagome in movimento illuminate da dietro. È il principio del Teatro d’ombre. Le sue origini sono antichissime, anche se in Europa questo genere di teatro arriva a distanza di molto tempo dalla precedente diffusione nei paesi dell’Asia e del Medioriente, in forme e tradizioni diverse. Le tecniche sono molteplici: dalle sagome in pelle trasparente e colorata delle ombre orientali alle silhouette opache e nere che, a partire dal 1770, segnano il successo in Francia degli spettacoli di François Dominique Séraphin e, nell’800, allietano la fantasia di molti bambini e di alcuni personaggi illustri come Carlo Alberto di Savoia. Alcuni documenti raccontano di spettacoli creati giocando col corpo o addirittura con le sole mani; una tecnica che verso la fine dell’800 conosce un momento di grande fortuna, diventando quasi un genere a parte. Altre ombre appariranno in quegli stessi anni in una veste ancora diversa  e in una sede inconsueta: sono quelle del leggendario “Cabaret du Chat Noir” di Parigi, create da artisti come Caran d’Ache o Henri Rivière.

Una tecnica semplice, ma dal risultato assai misterioso e affascinante, alla cui base c’è – ovviamente – un gioco di luci. Ecco, la luce e tutto il mondo dell’ottica vi attendono nella tappa successiva del percorso museale.

La stanza dell'ottica

La luce, infatti, è l’elemento essenziale della visione e le sue proprietà sono alla base di molti dispositivi che hanno preceduto la nascita del cinema. Le esperienze proposte nella sala in cui entrerete dopo esservi lasciati ammaliare dalle sagome scure delle ombre, illustrano il fenomeno della luce e della sua propagazione, l’analogia fra il funzionamento dell’occhio e quello della camera oscura, i molteplici  risultati della riflessione attraverso vari tipi di specchi e gli effetti creati dalle lenti. Sono inoltre ricostruiti alcuni giochi ottici basati sulle proprietà degli specchi e delle lenti, diffusi a partire dalla seconda metà del ‘600.

La luce… Per quanto la parola stessa possa suggerire concetti come trasparenza e semplicità, la luce è tutt’altro che semplice in quanto possiede una duplice natura: per alcune sue caratteristiche può essere rappresentata nella forma di onde emanate da una sorgente luminosa; per altre, può essere concepita come un flusso di corpuscoli che si propagano in linea retta a partire dalla sorgente formando i raggi luminosi. Una sorgente luminosa propaga tutt’intorno raggi che comunemente chiamiamo luce; gli altri oggetti non emettono direttamente luce ma diffondono in tutte le direzioni quella che ricevono. La luce bianca che noi vediamo è in realtà creata da un insieme di raggi di diversi colori che hanno una differente lunghezza d’onda visibile all’occhio umano compresa, per lo più, tra i 400 e i 700 miliardesimi di metro (nanometri). Per questi motivi esistono due teorie distinte, ma – se vogliamo – complementari per spiegare questo fenomeno tanto complesso qual è quello della luce: la Teoria ondulatoria e la Teoria corpuscolare.

Il processo attraverso cui il cervello riconosce e interpreta le immagini, noto come percezione visiva, è un fenomeno altrettanto complesso che potremmo riassumere così: la luce entra nell’occhio passando per la pupilla, un foro che si allarga e si restringe per regolarne la quantità; raggiunge poi il cristallino, una lente convergente capace di modificare la propria curvatura per mettere a fuoco i raggi luminosi sulla retina. Su quest’ultima si formano le immagini, trasmesse al cervello attraverso il nervo ottico, sotto forma di impulsi elettrici.

La vista

Nei secoli scorsi, per studiare i meccanismi della visione, è stato utilizzato un oggetto molto particolare - chiamato CAMERA OSCURA – di cui si è spesso sottolineato il parallelismo con il funzionamento dell’occhio. In origine la camera oscura era una stanza buia con un piccolo foro su una parete da cui entravano i raggi di luce che proiettavano sulla parete opposta le immagini capovolte della realtà esterna. La stanza è poi diventata una scatola di legno perfezionata nel tempo per diminuire la dispersione dei raggi luminosi e rendere così l’immagine nitida; dopodiché è stata  inserita nel foro una lente, in seguito sostituita da un vero e proprio obiettivo. Potete sperimentarne l’effetto guardando nella camera oscura che trovate di fronte a voi.

 

COMBINAZIONI DI LENTI

Applicando le leggi dell’ottica, gli effetti delle lenti, così come gli effetti dei vari tipi di specchi, possono essere previsti e calcolati con precisione. Allo stesso modo si possono prevedere e calcolare i fenomeni negativi, chiamati aberrazioni, che compromettono la produzione di immagini nitide e chiare o che alterano i colori. Per ovviare alle aberrazioni, i costruttori di apparecchiature ottiche hanno trovato soluzioni che utilizzano vetri con indici di rifrazione diversi e sfruttano le caratteristiche delle lenti combinandole tra loro. Per esempio, sia le lenti convergenti sia le lenti divergenti creano effetti di aberrazione cromatica causati da dispersione della luce. Ma se si uniscono i due tipi di lenti, i rispettivi difetti tendono a compensarsi annullandosi.


In queste stanze del Museo potete sbizzarrirvi a sperimentare gli strani effetti prodotti da camere oscure, anamorfosi catottriche, paradossi diottrici e altri apparecchi e fenomeni dai nomi buffi e impronunciabili costruiti su sistemi più o meno complessi di lenti e specchi.  Vedrete immagini che si muovono su una parete bianca, talvolta addirittura nell’aria, si trasformano, restituiscono figure in apparenza indecifrabili, si moltiplicano. Sono immagini vissute come “mirabili visioni” che consentono di sperimentare nuove dimensioni visive e di modificare profondamente la percezione e l’esperienza della vita quotidiana. Questi fenomeni ottici “esplosero” nel ‘600 barocco, in sintonia perfetta con lo spirito dell’epoca e la sua propensione instancabile per l’illusione e il fantastico, per il movimento e la metamorfosi, così da far vivere la scienza ottica – con le sue illusioni e  le sue mutevoli immagini - come un’”arte ingannevole che si prende gioco degli occhi e sconvolge tutti i sensi”.


Ancora qualche passo e vi troverete di fronte alle cosiddette SCATOLE OTTICHE. Quelle per diorami teatrali, in particolare, offrono una sensazione di teatro vero e proprio e l’illusione della profondità. Sono visori dotati di una lente posta di fronte a uno specchio interno inclinato a 45° che riflette una serie di stampe collocate su altrettanti telai in successione. Sono un boccascena, quattro o cinque quinte intermedie e uno o due fondali; nell’insieme, formano una scenografia in miniatura: mondi, città e popoli…

Poi, per chi pensa che il 3D sia un’invenzione moderna/recente, c’è una piccola sorpresa…

LA STEREOSCOPIA – ALLE ORIGINI DEL 3D

Tra i giocattoli scientifici inventati nell’800 per divertire e insieme sperimentare leggi della scienza spesso complesse, c’è lo stereoscopio, un visore che – per la prima volta nella storia – dà la possibilità di percepire due immagini piane come un’unica immagine tridimensionale e di verificare così, in prima persona, il fenomeno visivo della profondità.

Ideato nel 1832 dal fisico Charles Wheatstone per indagare i principi della visione binoculare, lo stereoscopio è perfezionato nel 1849 dallo scienziato David Brewster, cui si deve anche il felice incontro tra la stereoscopia e la fotografia. Un connubio che contribuirà alla rapida notorietà dell’apparecchio. La grande popolarità della fotografia stereoscopica è testimoniata anche dalla raccolta del Museo Nazionale del Cinema che comprende apparecchi stereoscopici di epoche e modelli diversi, oltre a 16.000 stereoscopie firmate da importanti studi fotografici o scattate da semplici amatori. La raccolta - costituita da Adriana Prolo sin dai primi anni di vita del Museo - venne incrementata agli inizi degli anni ’60 in occasione della mostra sulla stereoscopia, allestita nel 1966, e segna l’avvio in Italia di un rinnovato interesse per il tema del 3D.

E, visto che oramai siete avvezzi agli esperimenti (e magari ci state anche prendendo gusto), il Museo vi mette a disposizione la possibilità di immergervi in un’esperienza moderna dell’antico spettacolo del panorama: nello spazio cilindrico potrete interagire con il panorama visivo e sonoro di Torino, ripreso a 360° dagli 85 metri d’altezza del tempietto della Mole Antonelliana. Potrete scorrere e zoomare la grande panoramica, scovare i dettagli dell’immagine e navigare tra i suoni della città; cercate i filmati d’epoca e attivateli viaggiando a ritroso nel tempo. Il ticchettio di un orologio scandirà il trascorrere degli anni nel passaggio tra filmati di epoca sempre più lontana.

Brevettato nel 1787 dal pittore Robert Barker il panorama è un’immensa veduta di paesaggi e avvenimenti storici estesa – appunto - a 360° ed esposta in un edificio circolare. La modalità di visione del dipinto, da osservare dall’alto di una piattaforma al centro della rotonda, è studiata per dare allo spettatore l’impressione di trovarsi di fronte allo stesso paesaggio raffigurato dal pittore.

LA LANTERNA MAGICA

Una piccola macchina ottica che mostra spettri e mostri così terrificanti da far credere che questo accada per magia.

La lanterna magica è una macchina che proietta, ingrandite su uno schermo o una parete bianca, immagini dipinte su vetro. Fu inventata nel 1659 dall’astronomo Christian Huygens che, per sperimentarne il funzionamento, fece lo schizzo di uno studio preparatorio del primo vetro animato da proiettare: i disegni in pose differenti di uno scheletro che gioca con la sua testa, un soggetto che diventerà un’immagine classica degli spettacoli di lanterna magica. L’esperienza di Huygens sarà conosciuta in breve tempo ovunque e darà origine a un frenetico susseguirsi di ricerche effettuate sulla sua nuova macchina da noti studiosi dell’epoca. Tra i tanti, il padre gesuita Athanasius Kircher la utilizza nel Collegio Romano per evangelizzare i fedeli. Nello stesso periodo, in un altro ambito, si celebra invece la lanterna magica come sussidio all’insegnamento della scienza. Una dualità tra scienza e taumaturgia, che segna la lunga storia della macchina, anche se lo stupore e l’emozione delle sue immagini accomuna chiunque ne fa esperienza.

Ricapitolando, la lanterna magica è un apparecchio per la proiezione di immagini dipinte su vetro che si basa su una fonte di illuminazione e un sistema di lenti e specchi. La luce di una semplice candela, in seguito sostituita con sorgenti di luce sempre più potenti, viene riflessa da uno specchio concavo – il riflettore – che raccoglie i raggi luminosi e li direziona su una lente – il condensatore. Quest’ultimo ha la funzione di convogliare il fascio di luce sull’immagine dipinta per far sì che l’obiettivo ne proietti il riflesso sullo schermo.

LA FANTASMAGORIA

Sul finire del '700 la lanterna magica giunge alla sua piena maturità espressiva grazie allo spettacolo di Fantasmagoria di Paul Philidor ed Êtienne-Gaspard Robert, noto come Robertson. Nello spettacolo si ritrovano gli stessi ingredienti che avevano decretato l'immediato successo delle prime proiezioni luminose - "effetti prodigiosi, spettri e mostri spaventosi" - riproposti però con una padronanza oramai perfetta del linguaggio spettacolare e con un apparato tecnico molto evoluto. La regia accurata, l'orchestrazione dei ritmi narrativi, l'accompagnamento sonoro mirano a sollecitare di continuo il coinvolgimento degli spettatori con calcolati momenti di suspense e giochi di suggestione, mentre il fantascopio, una sofisticata lanterna magica montata su ruote e nascosta al pubblico, può avvicinarsi e allontanarsi dallo schermo per creare moderni effetti di "zoomata" dell'immagine e altri "effetti speciali" come la proiezione su fumo. Il successo è tale che la parola "fantasmagoria" entra presto nel linguaggio corrente con una ricchezza di significati senza precedenti. Nella sala potete assistere a uno spettacolo di Fantasmagoria riproposto con la tecnologia di oggi. Le immagini che vedrete provengono dalla collezione di vetri per lanterna magica del Museo Nazionale del Cinema.

Immagini in movimento

IMMAGINI IN MOVIMENTO, dunque... 

È il 1832 quando Joseph Antoine Plateau descrive un "nuovo genere d'illusione ottica" dove l'immagine di un ballerino prende vita da sedici  differenti pose disegnate su un disco di carta per eseguire una giravolta. È il fenachistiscopio. Nello stesso periodo Simon Ritter von Stampfer inventa un congegno del tutto identico: lo stroboscopio. Sono nate le prime sequenze di immaginio in movomento della storia del cinema. Poi sarà la volta del daedalum o zootropio di William G. Horner e di altri analoghi dispositivi che si fondano su un principio noto dall'antichità e indagato da importanti studiosi dell'epoca: anche in assenza di uno stimolo visivo l'immagine persiste sulla retina dell'occhio per un breve periodo di tempo. Ecco così che una sequenza di figure statiche in pose leggermente diverse tra loro, mostrata a una certa velocità, si trasforma in un'unica figura in movimento. Ben presto questi dispositivi diventano giocattoli alla moda. Lo diventeranno anche il prassinoscopio e il prassinoscopio-teatro, due felici varianti costruite negli anni successivi da Emile Reynaud. A lui si deve poi la creazione del teatro ottico e delle "pantomime luminose", ultimo grande spettacolo prima dell'avvento del cinema.

E dalle illusioni ottiche si arriva pian piano a un altro prodigio che ha a che fare con la luce: LA FOTOGRAFIA.

Furono i risultati raggiunti in ambito ottico e chimico tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 a determinare le condizioni per la sua nascita. Dovete sapere, però, che prima di riuscire a fissare in modo stabile le immagini effimere riprodotte meccanicamente dalla camera oscura, si susseguirono una serie di esperimenti destinati a fallire. Sarà Joseph-Nicéphore Niépce a realizzare nel 1823 le prime eliografie su lastra di stagno, ricoperta di bitume di Giudea; per ottenere immagini di una qualche nitidezza sono necessarie otto ore di esposizione alla lastra. La sua tecnica è ripresa da Louis-Jacques-Mandé Daguerre che riesce a diminuire i tempi di posa e, nel 1839, presenta a Parigi il dagherrotipo, una fotografia su lastra argentata non riproducibile. È invece con William Henry Fox Talbot che nasce il procedimento fotografico a noi noto: la sua calotipia, ideata nel 1841, consente di stampare più copie positive da un negativo. I tempi di posa sono ormai molto ridotti.

Negli anni successivi le tecniche si perfezionano sempre più e aprono la strada, verso il 1880, alla fotografia istantanea grazie alla quale diventa possibile svelare i dettagli della realtà fino ad allora sconosciuti. Anche i voluminosi apparecchi fotografici si trasformano in piccole macchine portatili. È l’avvio della fotografia amatoriale.

La società di inizio ‘800, in particolare, vive la fotografia come ideale strumento di autorappresentazione. Il nuovo mezzo garantisce infatti quei valori di realismo e di democrazia cui aspira la nascente borghesia. Con il ritratto fissato sulla lastra argentata del dagherrotipo, prezioso “specchio dotato di memoria”, la fotografia incomincia ad appagare il bisogno diffuso di lasciare una perenne traccia di sé  e di conservare il ricordo dei propri cari. Ma solo dopo la metà del secolo il genere del ritratto si afferma pienamente; a determinarne la notorietà sono le stampe su carta del più economico formato “carte da visite”, simile a quello di un biglietto da visita. E quando la fotografia scoprirà nuove possibilità espressive, il ritratto si affermerà come una forma d’arte che riflette la personale visione del fotografo.

Il ritratto fotografico

 

 

 

 

Ma la fotografia ha un limite: fissa il tempo, è testimone di quel luogo, in quel preciso istante, è – insomma - statica. Per superare tale immobilità dell’immagine fotografica, nel 1861 il fotografo Carlo Ponti ricrea artificialmente la sensazione dello scorrere del tempo. Il suo aletoscopio è un visore che ripropone gli effetti luministici delle scatole ottiche, ma ciò che appare allo spettatore non è una stampa, bensì una fotografia scattata di giorno che gradualmente si trasforma nella sua versione notturna. 

Versione notturna di fotografie scattate di giorno che gradualmente si trasformano in ciò che potete vedere qui sopra.

Nella fotografia panoramica è invece lo spazio a essere protagonista dell’immagine grazie a speciali macchine fotografiche che consentono di ampliare la superficie  ripresa.

Come avrete sicuramente intuito, le vedute architettoniche e paesaggi segnano i primi anni di vita della fotografia: i lunghi tempi di posa richiedono infatti soggetti immobili ripresi alla luce naturale. Ma anche quando si superano questi limiti tecnici, la fotografia continua su questa strada sottraendo al disegno e alla stampa il primato nel campo dell’illustrazione. Le vedute fotografiche offrono la possibilità di conoscere il “non visto” e di conservare il ricordo del “già visto”, rispondendo a quella richiesta di scoperta dell’altrove e di memoria del vissuto così radicata nella società dell’epoca. Con l’ampliarsi delle potenzialità espressive della fotografia, la funzione documentaristica dell’immagine assume un ruolo secondario e, come nel caso del ritratto, anche il paesaggio si trasforma in uno spazio creativo e personale. E, con l’avanzare degli studi e l’affinarsi delle tecniche, la fotografia comincia a diffondersi anche nella vita quotidiana, tanto è vero che – in una delle teche del Museo – è esposta una splendida COLLEZIONE DI CORNICI E ALBUM che sono di per sé delle opere d’arte e testimoniano l’importanza di questa scoperta tecnologica. E vogliamo parlare dell’utilità della fotografia come mezzo per documentare?

Un esempio di album fotografico

IL DOCUMENTO FOTOGRAFICO – LA FOTOGRAFIA AL FRONTE

Ritratti di soldati e gerarchi, scene di battaglia, immagini dal fronte hanno un ruolo centrale nella costruzione della memoria storica collettiva. Con la fotografia la guerra è infatti conosciuta e condivisa. È però soprattutto durante la Prima Guerra Mondiale che l’immagine fotografica si impone come il principale strumento di comunicazione grazie all’opera di fotografi professionisti ingaggiati dagli eserciti. Ma le testimonianze più significative non provengono dai servizi di propaganda bensì dagli scatti di fotografi amatoriali che contravvenendo alla censura militare, registrano con grande rigore la vita al fronte. Le loro fotografie, nate per custodire il ricordo di un’esperienza irripetibile e spesso conservate negli archivi di famiglia, raccontano la vera storia visiva della Grande Guerra.


Arrivati a questo punto della mostra noterete che proprio lì vicino a voi è stata collocata quella che sembra una cabina: si tratta della CARRIOLA FOTOGRAFICA che, progettata nel 1870 dal pastore valdese Peyrot, poteva essere utilizzata come mezzo per trasportare l’ingombrante attrezzatura necessaria alla preparazione e allo sviluppo delle lastre al collodio.

Carriola fotografica

 

“Non si può pretendere di aver visto realmente qualcosa prima di averlo fotografato”. Émile Zola, 1900

Ma la staticità è ancora il punto debole della fotografia, così – negli ultimi anni del 1800 – si dà vita alla  CRONOFOTOGRAFIA,

Verso il 1880 si diffonde la fotografia istantanea che consente di catturare l’attimo fuggente per trasformarlo in un’immagine fissa. Diventa finalmente possibile fotografare anche il movimento, un tema di indagine centrale nella ricerca scientifica ottocentesca. Nasce così la cronofotografia, un metodo che consente di scomporre un’azione in una ordinata e progressiva sequenza di istanti fotografati e di ricostruirla a partire da questa stessa sequenza. I principali protagonisti sono Edward Muybridge, fotografo scozzese che lavora negli Stati uniti, Étienne-Jules Marey, fisiologo francese autore di importanti studi sul movimento, e il suo allievo George Demenÿ. Dall’incrociarsi delle loro esperienze e delle loro ricerche nascono le prime fotografie in movimento. Tra le più suggestive, c’è la sequenza dell’uomo che solleva il manubrio ripresa da Marey.

 

“La cronofotografia rappresenta l’applicazione della fotografia istantanea allo studio del movimento; consente all’occhio umano di vedere le fasi che non potrebbe percepire direttamente e permette inoltre di ricostruire il movimento che prima ha scomposto”. Étienne-Jules Marey, 1899

 

LA NASCITA DEL CINEMA

Il 14 aprile 1894 si apre a Broadway il Kinetoscope parlor, la prima sala a pagamento che offre la possibilità di vedere  brevi film da 35 mm in una serie di apparecchi destinati alla visione individuale. La macchina si chiama Kinetoscopio, è stata inventata da Thomas Alva Edison nel 1891 e offre un ampio repertorio di film basato su soggetti vivaci e piacevoli. Il successo immediato, negli Stati Uniti e in Europa, cambierà il corso di quelle ricerche cronofotografiche in origine finalizzate solo all’indagine scientifica: si concretizza l’idea, ormai allargata, di sfruttare commercialmente lo spettacolo delle fotografie in movimento e si pongono le basi per la nascita dell’industria cinematografica. Sono realizzate nuove macchine da presa e si rinnova anche il repertorio dei film. Presto, si costruiscono cineprese “reversibili”, in grado di funzionare anche come proiettori di pellicole. Tra molte incertezze ed esitazioni le fotografie animate trionfano sul grande schermo. Dapprima, a New York e ad Atlanta, poi a Berlino e, finalmente, a Parigi dove, il 28 dicembre 1895, si terrà la proiezione pubblica più celebre delle origini del cinema: quella di Auguste e Louis Lumière al Grand Café.

Nella sala successiva potete assistere a una selezione dei primi filmati d’epoca, dotati di audio descrizione, realizzati da Georges Demenÿ, Max ed Emil Skladanosky, Robert Paul e Paul Acres, per finire con il celebre arrivo del treno alla stazione della Ciotat di Louis e August Lumière. Una full immersion in quel mondo lontano, immortalato in bianco e nero e senza audio che, però, suscita in noi un sorriso di tenerezza e un po’ di stupore.

Il treno alla stazione della Ciotat di Louis e August Lumière. Museo Nazionale del Cinema di Torino.

IL CINEMA FORANEO

Cinema foraneo

Parti della struttura che costituiva il cinema foraneo di Giovanni Cini, circolante all’inizio del XX secolo nelle piazze dell’Emilia e della Lombardia.

Le prime proiezioni pubbliche del cinematografo erano tenute sia in sale stabili, come caffè e teatri, sia in sale ambulanti, simili ai tendoni da circo. I cinema foranei hanno contribuito alla diffusione dello spettacolo cinematografico portandolo nelle fiere cittadine e nei piccoli paesi. All’ingresso dei cinema si trovavano spesso dei piccoli automi, come l’uccellino in gabbia qui esposto, che si azionavano inserendo una monetina nell’apposito foro.

IL CAFFÈ TORINO

Per rendere omaggio all’intenso rapporto fra Torino e il cinema quale miglior ambientazione di un tipico caffè in perfetto stile torinese? Agli inizi del Novecento Torino era una specie di Hollywood sul Po, con più di cento case di produzione (Itala e Ambrosio in testa) che esportavano film nel mondo. Anche quando l’epoca d’oro del muto si esaurisce, la città diventa nei decenni successivi punto di riferimento per tanti registi che la scelgono come location ideale dei propri film.

Caffè Torino

Seduti al bancone o ai tavoli del caffè i visitatori possono osservare le fotografie, i manifesti, i bozzetti, gli spezzoni dei film in cui Torino è protagonista, lasciandosi condurre in un viaggio dagli albori del muto ai giorni nostri.

Proseguendo il tour vi imbatterete in ambienti molto particolari, tra cui:

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 Una stanza allestita come un laboratorio di chimica, pensato perché vi si possa attuare una sorta di caccia al tesoro (ci sono monitor nascosti ovunque, soprattutto nei posti più insospettabili!)

Il cinema sperimentale...

·        Un salotto anni Cinquanta dove tutto sembra vero, ma nulla lo è (pensato per sottolineare la contrapposizione tra il cinema che racconta la Storia e la Storia che si fa documentario, in un confronto singolare che fa riflettere sulla capacità del mezzo filmico di raccontare la realtà o la sua mistificazione).

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  La ricostruzione di un’astronave (con occupante alieno), per raccontare al visitatore il cinema di fantascienza.

Astronave aliena e occupante alieno. Cinema di fantascienza al Museo Nazionale del Cinema di Torino.

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La proiezione caleidoscopica di sequenze di famosi musical (genere cinematografico americano per eccellenza).



I musical

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  L’interno del saloon di un film western (altro genere cinematografico americano per antonomasia che, però, arriverà anche in Europa grazie a Sergio Leone  e alla sua rivisitazione in chiave spaghetti-western).

Ricostruzione di un Saloon

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 Uno spazio dedicato all’horror (con un’immagine lenticolare di Boris Karloff, protagonista del film “The Mummy” – “La Mummia” – del 1932, diretto da Karl Freund).


·        Una saletta che – sono sicura – vi piacerà tantissimo, a partire dalla sua porta d’ingresso sorprendente… Si tratta della sala che ospita i film d’animazione! 

La porta di Willy il Coyote

Prego, entrate pure! Prima di voi è passato Willy il Coyote che, come potete vedere, ha lasciato un buco con la sua sagoma… Entrando, potrete gustarvi i grandi classici del cinema di animazione. L’allestimento, giocando con alcuni topos del genere, è stato creato inserendo piccoli monitor in oggetti scenografici tipici dei cartoni animati… Ci sono: la cassaforte con le monete d’oro,

Le monete d'oro dei cartoni animati

 la bomba con la miccia accesa, 


 

 

 

 

 

 

la gabbietta di Titti,

Gabbietta di Titti

 il muro con la tana del topo,


 

 

 

 un grande cuore,

Cuore

 

 

 

 

 

 

 

 la cuccia del cane… 

Cuccia del cane

 

 

I cartoni animati sono sempre stati uno spettacolo in grado di incantare sia i bambini sia gli adulti, perciò non vergognatevi se – ora che siete cresciuti(?) – doveste provare un po’ di nostalgia per quei tempi in cui a Titti era “semblato di vedele un gatto” o un serpente dalla “S” sibilante invitava suadente il Principe Giovanni a contare i sssuoi sssoldi…

FARE UN FILM

“Come si fa un film? Come funziona il linguaggio del cinema? Le prossime cinque tappe del viaggio all’interno della Macchina del Cinema cercano di dare una risposta a queste domande. Vedrete in ciascuna di esse diversi livelli del processo di lavorazione di un cortometraggio di 90 secondi, appositamente girato nella Mole (dove? Scopritelo!): dapprima il prodotto finito, poi le diverse fasi della sua composizione. A ogni tappa sarete invitati a riflettere su come l’apparente ‘naturalezza’ del cinema sia in realtà il prodotto di una sofisticata manipolazione. Vi invitiamo a dedicare un minuto e mezzo a ogni filmato. Le proiezioni sono sincronizzate in modo che ciascuna cominci appena finita la precedente, con un breve intervallo per spostarsi nell’area successiva”. Davide Ferrario

Fare un film


Ad accogliervi (sullo schermo, eh), Neri Marcoré, che vi spiegherà – in modo chiaro e semplice – quali sono gli elementi costitutivi di un film e vi racconterà curiosità e retroscena su riprese, suono, montaggio ed effetti speciali. E, a proposito di effetti speciali…

 

GLI EFFETTI SPECIALI

Il desiderio di dar vita a mondi inventati e creature immaginarie o di rendere possibile l’impossibile ha portato a sperimentare e inventare effetti speciali e visivi che al giorno d’oggi hanno raggiunto un altissimo livello di definizione. Tre aree interattive sono a vostra disposizione per giocare con gli effetti speciali di  varie epoche. Il primo è un esempio dei trucchi illusionistici di tipo meccanico di fine Ottocento/inizi Novecento inventati da Georges Méliès, padre del cinema fantastico. Uno fondo dipinto scorre velocemente alle spalle di un attore mentre questi viene ripreso, creando l’impressione di stare precipitando nel vuoto. Poi, la tecnica del matte painting, che consiste nel combinare in fase di ripresa una scena reale con un fondale dipinto, facendo apparire come se tutto fosse ripreso dal vero. E, infine, il moderno chroma key, dove gli attori vengono ripresi su uno sfondo blu o verde che successivamente verrà sostituito da un’immagine realizzata in esterno o al computer.


LA MACCHINA DEL CINEMA

La famosa sedia del regista.


Il percorso dedicato alla “Macchina del Cinema” propone un viaggio spettacolare e didattico alla scoperta delle varie fasi di ideazione, produzione e realizzazione di un film. Le singole aree tematiche offrono allestimenti ispirati alla sala cinematografica, ai produttori coi loro studios, i registi, le star, gli sceneggiatori, i costumisti e gli scenografi. Le vetrine propongono invece cimeli originali provenienti dalle collezioni del Museo: bozzetti, costumi, materiali pubblicitari, documenti, lettere e fotografie. Nella seconda parte del percorso, un cortometraggio realizzato apposta dal regista Davide Ferrario accompagna il visitatore nelle tappe della costruzione di un film: le riprese, il montaggio, il sonoro, gli effetti speciali. Infine, tre aree interattive consentono di giocare con gli effetti speciali citati poco sopra.

NOI, IL PUBBLICO

Il cinematografo dei fratelli Lumière ebbe successo per il suo valore collettivo: per la prima volta veniva proposto all’interno di una piccola sala uno spettacolo di immagini in movimento fruibile contemporaneamente da più persone. Alle origini del cinema le proiezioni erano ambulanti e il pubblico si accalcava in baracconi da fiera, ma ben presto vennero costruite sale stabili, a volte semplici come i nickelodeons americani, altre volte sfarzose, gigantesche, ricche di decorazioni e addobbi, veri e propri templi di questo nuovo rito sociale.

LA PRODUZIONE

Fare cinema è un’operazione molto costosa perché vengono messe sotto contratto tante figure professionali. Chi si occupa di trovare i finanziamenti e gestire il budget è il produttore, figura fondamentale nel processo di realizzazione del film e della sua successiva distribuzione nelle sale. Se il suo ruolo è visto come prevalentemente operativo, in realtà molti produttori hanno dato un fondamentale contributo artistico scegliendo di investire in film che hanno segnato la storia del cinema. Fra i più famosi e potenti, i magnati hollywoodiani David O. Selznick, Samuel Goldwyn o i fratelli Warner, accanto agli italiani Carlo Ponti, Dino De Laurentis e Goffredo Lombardo, produttore e distributore della Titanus.

GLI STUDI

Marchio della Metro-Goldwyn-Mayer

Con il termine studio (o studi) si intende sia il teatro di posa, ovvero il set in cui vengono effettuate le riprese, sia l’insieme degli stabilimenti dedicati all’intera realizzazione di un film, dagli uffici amministrativi ai magazzini con gli oggetti di scena, alla carpenteria, alla sartoria, ai laboratori di pre e post-produzione, fino agli uffici stampa che seguono il lancio del film: vere e proprie città del cinema, come gli studios hollywoodiani delle majors Universal, Warner, Paramount, Columbia, MGM, Fox, così immense che per muoversi venivano usati i tram.  Il modello hollywoodiano viene seguito anche in Europa dove, fra gli altri, si distinguono  gli studi di Cinecittà, il cinema italiano si era già distinto nell’epoca d’oro del muto con teatri di posa all’avanguardia, come quelli dell’Itala Film di Torino, tra i più grandi d’Europa.

 

 

 

I REGISTI

I registi.

Il regista ha il ruolo determinante di coordinatore di tutte le operazioni tecniche e artistiche che porteranno al prodotto finale dell’opera filmica. Considerato generalmente come l’autore del film, la sua figura nel corso della storia del cinema ha assunto ruoli e importanza diversi. All’inizio veniva chiamato direttore di scena e doveva semplicemente occuparsi dell’allestimento scenico delle singole inquadrature. Poi attraverso i primi registi, come David Wark Griffith, assume sempre di più anche una funzione espressamente creativa. Nel corso degli anni ’20 e ’30 e nel cosiddetto cinema classico hollywoodiano diventa il responsabile delle riprese e della direzione degli attori, ma raramente segue il lavoro di montaggio mentre il suo ruolo artistico è riconosciuto nell’Europa del secondo dopoguerra.

LE STAR

Protagonisti assoluti della mitologia del cinema sono le star, quei personaggi che per il pubblico rappresentano l’apice della seduzione e del carisma, dei quali si seguono non solo le storie sullo schermo ma anche le vicende della vita privata, oggetto di un vero e proprio culto da parte dei fan: la ricerca dell’autografo, della fotografia, dell’incontro fugace alle “prime” dei loro film, diventano parte di un rito che dai tempi del cinema muto si estende fino ad oggi. Rodolfo Valentino, James Dean, Marilyn Monroe, le cui morti premature ne hanno ulteriormente consolidato lo status divino, e ancora Marlene Dietrich, Greta Garbo, Sophia Loren, sono solo alcuni dei nomi più famosi dell’Olimpo in celluloide.

LA SCENEGGIATURA

La sceneggiatura.

Un film inizia a prendere vita con la stesura di un soggetto, alcune pagine su cui in breve si racconta la trama. A volte il soggetto è originale, altre volte è tratto da un’opera già esistente (un romanzo o una pièce teatrale). Successivamente si scrive la sceneggiatura, ovvero una descrizione di come si susseguiranno scene e dialoghi, con indicazioni sulle riprese e sul montaggio. La fase dell’elaborazione della sceneggiatura varia a seconda dei registi e del loro stile. Roberto Rossellini, per esempio, era solito improvvisare durante le riprese e sosteneva di non avere mai capito bene la necessità di avere una sceneggiatura, se non per rassicurare i produttori. All’estremo opposto, ci sono registi che lavorano su uno scritto molto dettagliato, come Alfred Hitchcock.

 

 

IL CASTING

Il lavoro del casting consiste nella selezione degli interpreti, dai principali ai minori. È il passaggio dal personaggio immaginato e scritto nella sceneggiatura quello “reale” che si vedrà sullo schermo. Vari sono i criteri che stanno dietro alla scelta di un attore: il volto che “funziona” per quel ruolo, la presenza scenica, la gestualità e , naturalmente, la tecnica di recitazione. Fare il casting significa innanzitutto realizzare provini con i potenziali interpreti. Il più famoso della storia del cinema è quello di “Via col vento”: chi sarebbe stata Rossella O’Hara? Nell’arco di due anni furono sottoposte a provino centinaia di aspiranti attrici, alcune anche molto famose. Vivien Leigh ebbe la meglio su tutte.

I COSTUMI

Costumi di scena.

L’abito di scena è parte integrante nella costruzione del personaggio. La bravura del costumista sta nel creare una perfetta aderenza tra attore, personaggio e periodo in cui la storia è ambientata. Per meglio prefigurare le sue creazioni spesso disegna schizzi e figurini, talvolta attaccandovi anche frammenti di stoffa in modo da fornire precise indicazioni alla sartoria che eseguirà materialmente l’abito. L’estro dei maestri del costume design può anche influenzare la moda: lo stile androgino di Marlene Dietrich, ideato da Travis Banton, o i tailleur con le spalline larghe inventate da Adrian per far risaltare il corpo di Joan Crawford hanno inciso nelle tendenze e nel gusto dell’epoca, ma non solo.

LA SCENOGRAFIA

Nella progettazione di un film di estrema importanza è l’ideazione dello spazio in cui si muoveranno i personaggi e avverrà l’azione. Si può trattare di spazi artificiali ricostruiti sul set oppure di luoghi reali, a grandezza naturale o di dimensioni inferiori per contenere i costi e agevolare le riprese. Lo scenografo è il creatore tecnico-artistico di queste ambientazioni all’interno delle quali devono potersi muovere liberamente anche la macchina da presa e tutte le attrezzature necessarie alle riprese. La fase preparatoria del suo lavoro prevede la realizzazione di schizzi, bozzetti e modelli tridimensionali. A volte molto tecnici e mirati alla costruzione di elementi architettonici, altre volte rappresentazioni visive pressoché perfette, quasi dei fotogrammi disegnati con al proprio interno anche la presenza delle figure umane.

 

LE DECORAZIONI IN MEMORIA DELLA GRANDE GUERRA

Nel corso dei lavori di ristrutturazione della Mole, avviati nel 1931, le decorazioni originali, progettate da Antonelli e integrate-ripensate da Annibale Rigotti nei primi anni del Novecento, furono in parte nascoste in parte sostituite. Alcune aree furono decorate con simboli legati alla celebrazione dei caduti, in linea con la retorica politica del fascismo, e insieme per sottolineare la destinazione patriottica dell’edificio che il Comune di Torino aveva dedicato al Ricordo Nazionale dell’Indipendenza Italiana nel 1878, anno della morte di Vittorio Emanuele II. Sulle pareti  dell’area che attualmente  ospita la “Macchina del Cinema” vennero dipinti in stile déco i nomi delle maggiori battaglie combattute dai fanti italiani nella Grande Guerra, fra il Trentino e Gorizia.

 

LA COLLEZIONE DI RIVISTE del Museo Nazionale del Cinema è costituita da circa 5.500 testate e offre un variegato sguardo del panorama editoriale nazionale e internazionale, che copre circa due secoli di storia della fotografia e del cinema, dall’Ottocento fino ai giorni nostri.  Le fotografie di Angelo Frontoni, realizzate in studio o sul set, appaiono sulle più note riviste italiane e straniere, quali Epoca, Gente, TV Sorrisi e Canzoni, Stern, Paris Match, Sunday Times e Photo. Le sue copertine per Playboy, Playmen e Ciné Revue consacrano Frontoni maestro dei nudi.

Le brochure pubblicitarie conservate nella collezione del Museo sono alcune migliaia, dal muto ai giorni nostri. Fondamentali per il lancio del film, sono ricche di informazioni, dalla trama – spesso in più lingue per il mercato estero – alle notizie sulla produzione e sugli interpreti. L’impaginazione è avvincente, con fotografie di scena ritratti, collage ed elaborazioni grafiche di grande impatto visivo.

LA “WALK OF FAME” – Una passeggiata sulle orme dei grandi divi e delle grandi dive del Cinema. Se siete arrivati fin qui, sappiate che siete soltanto a metà di un viaggio meraviglioso: vi aspettano foto di grandi attori e di grandi attrici, coi loro sguardi magnetici, profondi; vi aspettano scatti realizzati con enormi Polaroid, curiosità e ricordi di un passato pronto a rivivere davanti ai vostri occhi...

ITALIAN MEN

Ritratto fotografico di Adriano Celentano.
Negli anni ’60, il cinema italiano da simbolo della rinascita si fa specchio della modernità. Adulto e problematico ma anche glamour e internazionale. È un’epoca di grandi divi e di volti nuovi che sanno farsi strada tra i generi. Nessun’altra cinematografia ha saputo offrire contemporaneamente i vertici del film d’autore e una produzione popolare che rimarrà impressa nella memoria. Ancora oggi, in tutto il mondo, è soprattutto questo il cinema italiano. Dalle fotografie ci guardano le maschere popolari e ruvide di Milian, Franchi e Ingrassia, Celentano, modelli maschili che oscillano tra il fascino di Mastroianni e il grottesco di Sordi, tra il macho e la sua parodia. La crisi arriverà ben presto e queste immagini raccontano di una generazione che vive l’epoca d’oro del nostro cinema e di nuovi volti (Volonté, Giannini, Testi, Placido) che preludono a un tempo sempre più contraddittorio.

RITRATTO D’AUTORE E FOTO DI SCENA

È solo negli anni ’30 che nasce ufficialmente il fotografo di scena, non più un’anonima maestranza come all’epoca del muto, ma un autore accreditato. Le case di produzione, consapevoli della centralità della fotografia per il successo di un film ingaggiano importanti fotografi quali Arturo Bragaglia, Osvaldo Civirani, Aurelio Pesce e Arnaldo Vaselli. Ma è soprattutto Elio Luxardo ad apportare uno stile moderno al ritratto d’attore. In dialogo con la fotografia internazionale, i volti e i corpi plasmati da luci e ombre veicolano un’immagine contemporanea delle dive italiane. Ne sono un esempio i due ritratti di Doris Duranti.

Italia Almirante Manzini in "Cabiria", Giovanni Pastrone, Itala Film, 1914. Coll. MNC - Fondo Pastrone.
NASCITA DEL DIVISMO

Il Museo Nazionale del Cinema conserva un prezioso corpus di riviste specializzate, edite a partire dal 1907 sino alla fine degli anni ’20, con pubblicazioni talvolta dedicate ad aspetti specifici della settima arte e altre di carattere più generalista e popolare. Sono queste ultime, forse, quelle che – in quegli anni – contribuiscono maggiormente all’affermazione del fenomeno del divismo.

Lo stretto legame tra la fotografia e il cinema si manifesta nella “fotografia di cinema” diffusa in Italia negli anni ’10, quando nasce l’industria cinematografica e la necessità di promuovere i film. La fotografia garantisce infatti una comunicazione immediata ed efficace che cattura l’attenzione e consente di raggiungere un ampio pubblico. Soprattutto, la fotografia amplifica e sancisce la fama nazionale e internazionale di attrici e attori: nasce il divismo cinematografico.

La fondatrice del Museo, Maria Adriana Prolo, dedicò al cinema muto italiano una straordinaria collezione, una raccolta che include oltre 30.000 fotografie, spesso le uniche testimonianze di film ormai perduti.

Ritratto fotografico di Eleonora Duse.
Qui il protagonista è il ritratto, strumento privilegiato nella costruzione dell’icona cinematografica. Gli attori sono fotografati sul set con i costumi di scena, da fotografi anonimi  e negli atelier dalle firme più prestigiose dell’epoca. Come Mario Nunes Vais, autore delle fotografie con Eleonora Duse e Tina Di Lorenzo. In linea con l’estetica della fotografia artistica, i ritratti popolano le riviste dell’epoca e sono stampati per il grande pubblico in formato cartolina postale.

 

 

FOTO DI SCENA

Le fotografie di scena propongono una sintesi visiva del film e ne documentano la ricchezza della messa in scena. Presentate nei materiali promozionali, allestite nei cinema e distribuite come cartoline, la loro finalità è creare un forte legame tra il pubblico e il film, per sedurre  il potenziale spettatore o mantenere vivo il ricordo in coloro che hanno assistito alla produzione.

SGUARDI D’ATTORE – DI STEFANO GUINDANI

Si dice che lo sguardo sia lo specchio dell’anima e che racchiuda le nostre sensazioni. Quando poi questi sguardi appartengono a coloro che per mestiere incarnano le emozioni, non può che diventare tutto poesia. Per il 15° anniversario dalla nascita di RAI Cinema, Stefano Guindani è stato chiamato a catturare con il suo obiettivo l’intensità di oltre 300 tra i migliori attori italiani. Da questo progetto è nato nel 2016 il volume “Sguardi d’attore. I volti di RAI Cinema”, una meravigliosa raccolta di ritratti, opere cinematografiche ed emozioni. Oltre alle fotografie esposte sulla rampa, una selezione dei ritratti e una video-gallery di cento volti restituiscono a questa stanza l’immagine nota e meno nota del cinema italiano contemporaneo. In collaborazione con RAI Cinema.

GIANT POLAROID

Le “Unique Celebrity Pictures” nascono nel 1996 come ritratti ufficiali alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Al termine della conferenza stampa, le celebrities passavano nello studio Photomovie per lo scatto con la Giant Camera Polaroid, con lo sviluppo in 80 secondi; firmati dalle star e dal fotografo, i ritratti venivano esposti al Palazzo del Cinema. Tra il 1998 e il 2007, il progetto toccò i Festival di Cannes, Berlino, Taormina e i Premi David di Donatello. Nel 1999, Polaroid fece costruire una macchina 50x60 appositamente per Photomovie che ha così immortalato i più importanti protagonisti della cinematografia mondiale. Le quattordici Giant Polaroid originali esposte, formato 50x60cm sono stampe in copia unica degli scatti realizzati da Stefano C. Montesi, Fabrizio Marchesi, Jacek P. Soltan.

Per gentile concessione di Claudio Canova. Photomovie.

CLICIAK – SCATTI DI CINEMA

Il Centro Cinema Città di Cesena, organizza dal 1998 “CliCiak scatti di cinema”, pensato sia per valorizzare il lavoro dei fotografi di scena sia per dar vita a una fototeca sul cinema italiano contemporaneo (oltre 28.000 le foto raccolte). Tra i riconoscimenti figura il premio speciale del ritratto sul set. Inizialmente assegnato in collaborazione con la redazione di Ciak, dal 2020 il premio è divenuto “Portrait, ritratto sul set”, assegnato  da un protagonista del cinema e/o della fotografia; dopo Piera Detassis, nel 2021 il compito è stato affidato a Denis Curti. Le foto qui proposte sono quelle insignite del premio nel corso delle varie edizioni e provengono dall’Archivio Centro Cinema Città di Cesena.

TORINO CITTÀ DEL CINEMA E DELLA FOTOGRAFIA

Fotografi torinesi – ritratti nella gigantografia esposta nel Red Carpet dell’Aula del Tempio – collaborano alla mostra mettendo a disposizione alcuni loro scatti. Sono immagini che documentano la vita cinematografica torinese, i photocall realizzati durante la première dei film ai festival organizzati dal Museo Nazionale del Cinema, e anche scatti rubati e ritratti sul set. Queste fotografie contribuiscono a comunicare il ruolo di Torino città del cinema e a conservarne la memoria.

I NUDI DI ANGELO FRONTONI

“Angelo Frontoni, Mago del nudo! Frontoni non è solo uno dei fotografi preferiti delle vedette ma anche uno dei migliori specialisti della fotografia di nudo” (Ciné-Révue, 9 agosto 1979).

È Frontoni l’autore del servizio con Sylva  Koscina pubblicato su Playboy America nel 1967: scandalo e successo che consacrano la sua firma a livello internazionale. Il tema del nudo attraversa tutta la sua produzione che abbina una visione personale del corpo femminile ai cliché della fotografia softcore veicolata dalle iconiche riviste Playboy e Playmen. Il rapporto di fiducia che instaura con le celebrità, gli consente di “spogliare” con il suo obiettivo anche i personaggi più restii come Milena Vukotic che in un’intervista ha dichiarato: «Frontoni mi disse: “Ti fanno sempre apparire brutta, perché non ti fai fotografare nuda?” Rimasi sorpresa, ma accettai la sfida».

E QUANDO AVRETE TERMINATO IL GIRO E SARETE STANCHI/E POTRETE GODERVI UN PO’ DI MERITATO RELAX SULLE COMODISSIME POLTRONCINE DEL PIANO TERRA ORIENTATE IN MODO TALE DA POTER GUARDARE LE IMMAGINI CHE SCORRONO SUI MAXI-SCHERMI SOPRA LE VOSTRE TESTE…


Ora volgete lo sguardo verso l'alto e... gustatevi la bellezza...


Ovviamente  in questo articolo ho inserito soltanto una piccolissima parte di ciò che si cela all'interno del Museo Nazionale del Cinema perché vorrei davvero che vedeste coi vostri occhi tutto il mondo che la Mole Antonelliana contiene. E spero veramente di avervi fatto sorgere la curiosità di saperne di più.

PHOTOCALL – ATTRICI E ATTORI DEL CINEMA ITALIANO

Photocall
Fan Fact: pochi giorni fa, proprio su quel red carpet è passata Monica Bellucci!

La mostra continua…

Al piano zero “Backstage!” e, sulla cancellata della Mole Antonelliana, “Brivido Pop” di Marco Innocenti. Al cortile dell’Ateneo “Il gioco delle coppie”, omaggio ad Angelo Frontoni.

 

DULCIS IN FUNDO: una carrellata degli oggetti esposti da non perdere…

 

LA SELEZIONE DELLE MACCHINE FOTOGRAFICHE


La macchina fotografica concorre nelle scelte artistiche del fotografo. Qui esposta, una selezione tra le macchine professionali più utilizzate, dagli apparecchi a lastra dell’epoca del muto fino a quelli digitali, in grado di girare anche video in 4K. Oltre ai modelli celebri, ve ne sono di rari o particolari: la Bectar con flash sincronizzato, la Summa Report ideata per i fotoreporter, la Photosniper nata per i corpi militari e poi usata dai paparazzi.

Costumi/armature di scena. Spicca, tra tutti, il costume/armatura del film "Robocop".

"La carica dei 102 - Un nuovo colpo di coda". Animatronic di un cucciolo di dalmata.

Busto in resina in scala 1:1 di Boris Karloff nel ruolo de mostro di Frankenstein. Scultura di Miles Teves del 1995, produzione Ciné Art (USA), 1999.

Busto in resina in scala 1:1 di Lon Chaney nel ruolo del fantasma dell'Opera. Scultura di Miles Teves del 1999, produzione Ciné Art (USA)2000.

Calco in gesso del volto di Meryl Streep realizzato dal designer e creatore di effetti speciali Alec Gillis per il film "La morte ti fa bella". Gli artisti del trucco e degli effetti speciali si servono dei calchi dei volti degli attori per creare e modellare protesi facciali, modificare particolari del viso, riprodurre le fattezze dell'attore su manichini meccanizzati. Premio Oscar per i migliori effetti speciali 1993.

Oggetti di scena. Riconoscerete sicuramente da quali film provengono. "Il pianeta delle scimmie", "Star Wars"...

Locandina del film "Lo squalo" e realativa testa di squalo gigante.

Il busto di Batman, quello di Catwonan e il mantello di Superman...

Oggetto di preproduzione: diorama per riprese a passo uno del film "Jurassic Park" di Steven Spielberg, USA, 1993. Costruito al Tippet Studio per visualizzare una delle scene più complesse del film in cui il tirannosauro rex si scaglia contro il recinto di rete metallica e fa ribaltare due jeep.

 

 

Il mostro della laguna nera. Calco dello stampo originale realizzato da Jack Kevan per la maschera indossata da Ricou Browning.

Se voleste supportarmi in questa impresa, potete seguirmi sui social, in particolare su Instagram (dove sono maggiormente attiva). Proprio lì ho creato numerosi hashtag che riguardano  libri, luoghi, arte e molto altro ancora. Ce n’è uno, in particolare - che ho chiamato #diffusioniculturali – dove troverete curiosità stuzzicanti: vi aspetto!

Qui di seguito tutti i miei hashtag (su Instagram):

·        #diffusioniculturali

·        #instagrammounlibro

·        #resuscitounaparola

·        #filosofitralenote

·        #briciolettere

·        #scherzarte

·        #pastidicarta

·        #laparolachechiude

·        #unaparolaperdomani

 

 

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