IL FUTURO DEL GIORNALISMO
Tra fake news e disintermediazione.
Con Vittorio Roidi,
Alberto Sinigaglia, Bernardo Valli, Carlo Verna.
Modera Daniele
Cerrato.
A cura di Fondazione
Paolo Murialdi, Ordine dei Giornalisti Associazione Stampa Subalpina, Centro
Studi sul Giornalismo “Gino Pestelli”.
Il
giornalismo è finito o ce n’è sempre più bisogno? Analisi di una professione
che vive una rivoluzione epocale, tra rischi, nemici e voglia di rinascita.
Il giornalismo si è
evoluto insieme all’evolversi della tecnologia: ha sfruttato il telegrafo, il
telefono (gestito dallo stenografo), il Telex
(inizialmente, per radio), fino all’avvento di Internet. La tecnologia ha cambiato il giornalismo, arrivando a
declassare drasticamente la base cartacea. Le notizie, ormai, vengono trasmesse
quasi in tempo reale e – soprattutto – simultaneamente. Questo tipo di
progresso tecnologico ha messo in crisi i quotidiani, favorendo i siti on-line (che danno informazioni più
stringate, rapide ed essenziali). La libertà di stampa non è più solo di
stampa, ma è divenuta libertà d’informazione. Il lavoro dei giornali è quello
di captare tutte le news, selezionarle (in base alla veridicità, scartando le fake e intercettando le fonti esatte) e
incanalarle nel meccanismo di pubblicazione. All’interno di questo processo,
però, c’è una sorta di dispersione.
Ma CHI è il
giornalista e QUAL è il suo scopo? Il giornalista è colui che fa da
intermediatore tra la notizia e il pubblico. E, per quanto la tecnologia abbia
cambiato il mondo del giornalismo anche dal punto di vista antropologico, il
lavoro del giornalista rimane quello di intermediario.
La velocità con la
quale si muove questa “macchina” di informazione moderna ha incrementato la
produzione di errori, errori che un tempo non sarebbero stati commessi. Oggi va
di moda un detto che recita “SLOW NEWS, NO NEWS”, perché con pochi click scrivi e pubblichi, rendendo più
frequenti sviste ed errori di ogni tipo. È vero che una notizia non può
permettersi di essere vecchia, però è anche vero che deve essere sempre
verificata e verificabile e oggi, col cellulare, tutti possono trasmettere, con
la conseguenza che la trasmissione e la diffusione di informazioni può avvenire
anche ad opera di persone non qualificate, prive di competenze nel settore o,
più semplicemente, prive delle adeguate attenzioni. Un tempo c’erano le figure
degli inviati, le quali avevano il compito di recarsi personalmente sul luogo
della notizia per raccontare le vicende trasmettendole in redazione. Oggi,
invece, viviamo in un contesto in cui ogni opinione è in grado di cancellare
quella degli altri. Ma il cittadino ha il diritto di essere CORRETTAMENTE
informato. C’è ancora (e – probabilmente – sempre ci sarà) bisogno di inviati,
di cronisti che si rechino sul posto, ma è necessario che la categoria dei
giornalisti sia più “autonoma” rispetto a tante altre categorie lavorative,
perché il mestiere del giornalista è rischioso. Tuttavia, oggi, chi rischia di
“morire” non è tanto il giornalismo quanto le aziende. C’è un grande bisogno di
verità, ma c’è anche bisogno di tutelare le persone da coloro che offendono o
che insultano in rete, ed è forte la necessità di impedire il dilagare delle fake news.
Un’altra questione
che andrebbe rivista è quella che riguarda le quote di pagamento dei
giornalisti, quote che – al momento – sono molto basse. Ci vuole più
professionalità, è vero, perché – purtroppo – circolano anche giornalisti non
preparati, ma questa riflessione porta a interrogarsi su un altro punto
fondamentale: che cosa – oggi – il pubblico è disposto a pagare? I cittadini
hanno bisogno di un servizio
giornalistico professionale, dicevamo, pertanto un buon servizio potrebbe
essere quello grazie al quale siano i giornalisti stessi ad andare a caccia di
notizie false e di bugie da smascherare e lo facciano per conto dei cittadini.
Ci sono, infatti, molte cose scritte egregiamente che, però, non raccontano la
verità e le persone hanno bisogno di verità, non di falsità scritte bene. Ma
per quale motivo le falsità scritte bene dilagano tanto, oggigiorno? Semplice: perché
sono più “appetibili”, fanno molta più presa e questa caratteristica le porta
ad essere automaticamente più “vendibili”. Qui si apre un discorso legato
all’arte di raccontare: raccontare non significa necessariamente raccontare
cose false! Cosa si può fare, dunque? Bisogna, innanzitutto, provvedere a nuove
norme d’ingaggio; bisogna lavorare con sindacati, editori e tutte le categorie
coinvolte nella divulgazione dell’informazione perché mai come oggi c’è stato
bisogno di affidabilità delle notizie. Il vero compito del giornalismo,
infatti, non è quello di raccontare bene, bensì quello di informare
correttamente e onestamente. Spiegare il più chiaramente possibile, questo è il
suo compito.
Il giornalismo va
adeguato ai tempi…
Le scuole di
giornalismo di oggi formano i ragazzi in modo molto diverso da come lo facevano
in passato. Adesso i giovani imparano a fare più cose, sviluppano tante competenze,
studiano la storia del giornalismo, imparano tecnicismi e tecnicità, ma non
sono “vicini” ai grandi “maestri”, non fanno praticantato come una volta.
Chiunque esca dalla scuola di giornalismo ha in mano il titolo di giornalista,
ma non ha esperienza pratica, non ha fatto una vera esperienza sul campo. Fa
comunque il proprio lavoro, è vero, ma la differenza (rispetto al passato) è la
paga: pochi spiccioli ad articolo…
Quando le persone
navigano in rete per leggere le notizie (anche quelle redatte da non
professionisti), si illudono che ciò che han letto sia vero e se lo fanno
bastare. Si fidano, per dirla brevemente. Quindi è necessario riportare le
persone ad affidarsi ai veri giornalisti, non a fonti dubbie. L’articolo 21
della Costituzione Italiana (dedicato alla libertà di manifestazione di
pensiero), consente a chiunque di scrivere – questo è vero – ma i giornalisti
hanno il compito di farlo in modo professionale. E, poiché la democrazia si
affida a cittadini veramente informati, i giornalisti hanno una grandissima
responsabilità!
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