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domenica 19 maggio 2019

IL FUTURO DEL GIORNALISMO


Lunedì 13 maggio, ore 15,30, sala Viola.
IL FUTURO DEL GIORNALISMO
Tra fake news e disintermediazione.
Con Vittorio Roidi, Alberto Sinigaglia, Bernardo Valli, Carlo Verna.
Modera Daniele Cerrato.
A cura di Fondazione Paolo Murialdi, Ordine dei Giornalisti Associazione Stampa Subalpina, Centro Studi sul Giornalismo “Gino Pestelli”.
Il giornalismo è finito o ce n’è sempre più bisogno? Analisi di una professione che vive una rivoluzione epocale, tra rischi, nemici e voglia di rinascita.
Il giornalismo si è evoluto insieme all’evolversi della tecnologia: ha sfruttato il telegrafo, il telefono (gestito dallo stenografo), il Telex (inizialmente, per radio), fino all’avvento di Internet. La tecnologia ha cambiato il giornalismo, arrivando a declassare drasticamente la base cartacea. Le notizie, ormai, vengono trasmesse quasi in tempo reale e – soprattutto – simultaneamente. Questo tipo di progresso tecnologico ha messo in crisi i quotidiani, favorendo i siti on-line (che danno informazioni più stringate, rapide ed essenziali). La libertà di stampa non è più solo di stampa, ma è divenuta libertà d’informazione. Il lavoro dei giornali è quello di captare tutte le news, selezionarle (in base alla veridicità, scartando le fake e intercettando le fonti esatte) e incanalarle nel meccanismo di pubblicazione. All’interno di questo processo, però, c’è una sorta di dispersione.
Ma CHI è il giornalista e QUAL è il suo scopo? Il giornalista è colui che fa da intermediatore tra la notizia e il pubblico. E, per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo del giornalismo anche dal punto di vista antropologico, il lavoro del giornalista rimane quello di intermediario.
La velocità con la quale si muove questa “macchina” di informazione moderna ha incrementato la produzione di errori, errori che un tempo non sarebbero stati commessi. Oggi va di moda un detto che recita “SLOW NEWS, NO NEWS”, perché con pochi click scrivi e pubblichi, rendendo più frequenti sviste ed errori di ogni tipo. È vero che una notizia non può permettersi di essere vecchia, però è anche vero che deve essere sempre verificata e verificabile e oggi, col cellulare, tutti possono trasmettere, con la conseguenza che la trasmissione e la diffusione di informazioni può avvenire anche ad opera di persone non qualificate, prive di competenze nel settore o, più semplicemente, prive delle adeguate attenzioni. Un tempo c’erano le figure degli inviati, le quali avevano il compito di recarsi personalmente sul luogo della notizia per raccontare le vicende trasmettendole in redazione. Oggi, invece, viviamo in un contesto in cui ogni opinione è in grado di cancellare quella degli altri. Ma il cittadino ha il diritto di essere CORRETTAMENTE informato. C’è ancora (e – probabilmente – sempre ci sarà) bisogno di inviati, di cronisti che si rechino sul posto, ma è necessario che la categoria dei giornalisti sia più “autonoma” rispetto a tante altre categorie lavorative, perché il mestiere del giornalista è rischioso. Tuttavia, oggi, chi rischia di “morire” non è tanto il giornalismo quanto le aziende. C’è un grande bisogno di verità, ma c’è anche bisogno di tutelare le persone da coloro che offendono o che insultano in rete, ed è forte la necessità di impedire il dilagare delle fake news.
Un’altra questione che andrebbe rivista è quella che riguarda le quote di pagamento dei giornalisti, quote che – al momento – sono molto basse. Ci vuole più professionalità, è vero, perché – purtroppo – circolano anche giornalisti non preparati, ma questa riflessione porta a interrogarsi su un altro punto fondamentale: che cosa – oggi – il pubblico è disposto a pagare? I cittadini hanno bisogno di  un servizio giornalistico professionale, dicevamo, pertanto un buon servizio potrebbe essere quello grazie al quale siano i giornalisti stessi ad andare a caccia di notizie false e di bugie da smascherare e lo facciano per conto dei cittadini. Ci sono, infatti, molte cose scritte egregiamente che, però, non raccontano la verità e le persone hanno bisogno di verità, non di falsità scritte bene. Ma per quale motivo le falsità scritte bene dilagano tanto, oggigiorno? Semplice: perché sono più “appetibili”, fanno molta più presa e questa caratteristica le porta ad essere automaticamente più “vendibili”. Qui si apre un discorso legato all’arte di raccontare: raccontare non significa necessariamente raccontare cose false! Cosa si può fare, dunque? Bisogna, innanzitutto, provvedere a nuove norme d’ingaggio; bisogna lavorare con sindacati, editori e tutte le categorie coinvolte nella divulgazione dell’informazione perché mai come oggi c’è stato bisogno di affidabilità delle notizie. Il vero compito del giornalismo, infatti, non è quello di raccontare bene, bensì quello di informare correttamente e onestamente. Spiegare il più chiaramente possibile, questo è il suo compito.
Il giornalismo va adeguato ai tempi…
Le scuole di giornalismo di oggi formano i ragazzi in modo molto diverso da come lo facevano in passato. Adesso i giovani imparano a fare più cose, sviluppano tante competenze, studiano la storia del giornalismo, imparano tecnicismi e tecnicità, ma non sono “vicini” ai grandi “maestri”, non fanno praticantato come una volta. Chiunque esca dalla scuola di giornalismo ha in mano il titolo di giornalista, ma non ha esperienza pratica, non ha fatto una vera esperienza sul campo. Fa comunque il proprio lavoro, è vero, ma la differenza (rispetto al passato) è la paga: pochi spiccioli ad articolo…
Quando le persone navigano in rete per leggere le notizie (anche quelle redatte da non professionisti), si illudono che ciò che han letto sia vero e se lo fanno bastare. Si fidano, per dirla brevemente. Quindi è necessario riportare le persone ad affidarsi ai veri giornalisti, non a fonti dubbie. L’articolo 21 della Costituzione Italiana (dedicato alla libertà di manifestazione di pensiero), consente a chiunque di scrivere – questo è vero – ma i giornalisti hanno il compito di farlo in modo professionale. E, poiché la democrazia si affida a cittadini veramente informati, i giornalisti hanno una grandissima responsabilità!


Eranos e la terapia dell'anima: immortalità e filosofia.


Lunedì 13 maggio, ore 12,30, sala Indaco.
ERANOS E LA TERAPIA DELL’ANIMA
Immortalità e filosofia
Con Franco Ferrari (“La via dell’immortalità. Percorsi platonici”, Rosenberg & Sellier), Fabio Merlini e Federico Petrucci.
In collaborazione con Fondazione Eranos.
Lo scopo di questa Fondazione è sempre stato (fin dal 1933) quello di indagare un pensiero interdisciplinare che avesse come oggetto di studio l’uomo in tutte le sue sfaccettature.
Il libro di Franco Ferrari ha, pertanto, due scopi:
-         Divulgazione (ad un livello molto alto, ma non ancorato a tecnicismi);
-         Ricerca.
Il tema è, sì, quello dell’immortalità, ma c’è anche molto altro.
Per quanto riguarda l’immortalità, innanzitutto è necessario sottolineare i due tipi di immortalità trattati:
-         Immortalità dell’anima;
-         Immortalità della persona.
Sette sono in tutto i capitoli del libro, capitoli che rimandano al pensiero di Platone (sul tema dell’immortalità), uniti da tre punti:
1.        Immortalità dal punto di vista filosofico, non religioso;
2.      La vera immortalità non è quella della trascendenza, ma è una cosa che pratichiamo (e coltiviamo) giorno per giorno, attraverso un processo di “immortalizzazione”;
3.      Un quadro molto chiaro che va oltre il teoretico.
L’immortalizzazione è un nostro modo per entrare in contatto con il divino. È una pratica che avviene in vita e si attua attraverso la filosofia. Perché in vita e non oltre la vita? Perché, secondo Platone, l‘anima non è personale, ma intelletto puro, privo di qualsivoglia memoria individuale. In altre parole, l‘immortalizzazione consiste nel superamento della condizione umana mentre si è ancora in vita (perché essere immortali non significa vivere in eterno), arrivando alla conoscenza più alta attraverso la filosofia; attraverso la valorizzazione di ciò che di divino è presente in noi (ossia l’intelletto, la Psyché) possiamo, dunque, arrivare a fonderci con il divino.  Il nostro “radicamento”, infatti, non è qui, sulla Terra e nelle cose terrene, ma nel divino.
Che cosa è il divino? Il divino è una “sfera” formata da tanti ambiti, tra i quali spicca quello della conoscenza. Per diventare immortali è necessario, secondo Platone, purificarsi dalle pulsioni, dai desideri e dalle passioni (che appartengono al corpo dell’essere umano e sono la cosiddetta componente irrazionale) e valorizzare la componente razionale. Platone aveva, nei confronti dell’uomo, una doppia considerazione: da una parte pensava che fosse destinato a soccombere alle pulsioni terrene, dall’altra riteneva che potesse essere “educato” (attraverso la Paideia). Comunque sia, non si tratterebbe di un processo strettamente individuale.


PANDA O MORTE, Marco Rizzini, Ediciclo Editore.


Domenica 12 maggio, ore 15,30, sala  Avorio.
PANDA O MORTE
Marco Rizzini dialoga con Nicolai Lilin.
Ecco i punti salienti dell’intervista:
Un viaggio di circa 12.000 km, 3 ragazzi, una grande amicizia, tante avventure (e disavventure)…
Il trucco per narrare una storia che funzioni è narrare il mondo vestendo i panni del cronista, cogliendo i segni caratteristici di quel mondo.
Punto di riferimento, per Rizzini, è stato “Buonanotte, signor Lenin” di Tiziano Terzani.
Usare una FIAT Panda per compiere un viaggio di tale portata potrebbe sembrare quanto mai ingenuo, ma – in realtà – si è trattato di una scelta strategica: la Panda rappresenta il trionfo della meccanica sull’elettronica, perché può essere aggiustata pur avendo scarsi mezzi a disposizione…
La percezione dei luoghi visitati (con particolare riferimento al Kazakistan) è stata quella di un Impero caduto, ma non sconfitto dalla guerra. Negli occhi degli abitanti di quei luoghi è presente una sorta di nostalgia che spazia dai comportamenti fino – addirittura – alla lingua parlata.
Parlando della Transnistria…
Rizzini l’ha visitata due volte, negli ultimi dieci anni, e ha potuto constatare dei cambiamenti (in positivo): c’è più umanità, oggi, grandi passioni (soprattutto per le arti circensi) e – come già detto – tanta nostalgia.
Nel libro, Rizzini mostra il lato umano dei russi e – durante l’intervista – punta l’attenzione sulle somiglianze tra loro e noi: nonostante la distanza geografica che separa i nostri Paesi, è presente una sorta di contiguità umana…
L’amicizia
3 ragazzi, dicevamo all’inizio, con caratteristiche (e “competenze”) differenti:
-         Uno parla bene il russo;
-         Un altro è  specializzato nelle riparazioni meccaniche;
-         Il terzo (Rizzini) si è definito “l’affabulatore”, cioè si occupava di affrontare e risolvere i problemi di organizzazione/comunicazione.
“Panda o morte” è la frase attraverso la quale, anche e soprattutto nei momenti di maggiore sconforto, i tre protagonisti del viaggio trovavano la forza di proseguire. Rizzini ha reso perfettamente l’idea dello sconforto, raccontando la disavventura vissuta al Lago d’Aral: la Panda  era insabbiata, il vento gettava ai tre amici la sabbia in gola, il sole era cocente e per ben 4 ore i tentativi fatti per liberare la vettura erano stati vani… La situazione si è risolta grazie all’aiuto di alcuni amici uzbeki, ma la paura è stata grande.
L’aver affrontato insieme un viaggio dalla portata tanto imponente li ha portati a parlare molto, a raccontarsi a vicenda e a rafforzare – così - la loro amicizia: persone diverse – sì – ma con un obiettivo comune. È stato un viaggio di privazioni, ma anche di grande crescita, di cui sono rimasti non solo dei ricordi, ma anche delle belle amicizie con alcune persone conosciute strada facendo, soprattutto in Asia centrale, dove tutti sembrano possedere il dono dell’ospitalità.
L’essenziale, in un viaggio del genere, è stato ed è sapersi integrare. Conoscere la lingua e non mostrare segni di ingenuità sono due cose imprescindibili per chiunque voglia fare un’esperienza serena.
Riferimenti:
“Panda o morte”, Marco Rizzini, Ediciclo Editore.