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sabato 2 settembre 2017

"Notti bianche" di Dostoevskij. Einaudi.



Il punto di vista di “Notti bianche” è quello di un sognatore di cui non abbiamo indicazioni per quanto riguarda il nome e neppure per ciò che concerne l’aspetto fisico. La narrazione avviene in prima persona, ma non avendo alcun tipo di informazione fisica o biografica del nostro sognatore, abbiamo l’impressione di trovarci di fronte al racconto di una figura eterea, impalpabile, la quale esiste per il solo fatto di sognare. Ma che cosa è esattamente il sogno per Dostoevskij? Il sogno è capacità immaginifica, pura immaginazione. Le vicende si svolgono a Pietroburgo, una città che – in “Notti bianche” – non è la Pietroburgo reale e conosciuta, ma una Pietroburgo - per  l’appunto - immaginaria, parallela, scaturita dalla mente creativa del sognatore, il quale vive in uno stato di profonda solitudine che lo porta – addirittura - a intavolare conversazioni con le case, trattandole alla stregua di creature viventi dotate di personalità. Il tempo in cui trascorre la propria esistenza il sognatore è distorto, esattamente come è distorto lo spazio in cui egli  o – forse sarebbe meglio dire - esso si muove. Il sognatore può vivere una vita intera in poche ore, fatta di cose meravigliose, ma totalmente inafferrabili. La struttura di questo breve romanzo è quella di un diario suddiviso in quattro notti e un mattino, anche se – alla fine della narrazione (ovvero al mattino) – il tempo sembra dilatarsi, pare espandersi, fino ad appropriarsi dell’intera vita del sognatore. La trama rispecchia il protagonista: poco articolata e fondata sul classico triangolo amoroso in cui lui ama lei, ma lei ama l’altro. Nonostante un triangolo non lasci dubbi sul fatto di avere solo tre personaggi in scena, secondo la mia visione delle cose le figure coinvolte sono almeno quattro:  “lui” (il sognatore), “lei” (Nasten’ka, l’unico sogno diventato – forse – realtà, per il nostro protagonista), “l’altro” (ovvero l’innamorato di Nasten’ka e quindi il rivale del sognatore, l’uomo dalla vita concreta e reale) e la Solitudine, nella quale il nostro protagonista sembra crogiolarsi con tormento, quasi abbandonandosi ad una vita di accidia. Il linguaggio del sognatore è altalenante: a tratti semplice, quasi trascurato, a tratti magistrale, quasi una prosa da “libro stampato” . E altalenante è anche l’umore dei due protagonisti, in particolare quello di Nasten’ka, tanto da essere in grado di influenzare rispettivamente gli animi dell’uno e dell’altra come se questi stessero su una montagna russa. Il romanticismo di Dostoevskij conferisce alla narrazione un lirismo delicato, ma commovente. Il tempo atmosferico sembra persino riflettere lo stato d’animo del protagonista il cui destino è quello di vivere e rivivere un’intera vita ripercorrendo un solo attimo di beatitudine. Il conforto di una vita in un solo istante di immensa gioia. Il lettore percepisce una sorta di nebbia, una dissolvenza – se vogliamo – nelle immagini che Dostoevskij propone in “Notti bianche” e proprio questa nebbia mi ha portata a chiedermi: quale delle quattro figure presenti in questo racconto è davvero reale? Quale di esse è una proiezione di chi?

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