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giovedì 12 gennaio 2017

Recensione de "IL DANNO" di Josephine Hart. Universale Economica Feltrinelli.



“Il danno” è la storia di un uomo (il cui nome non sapremo mai), narrata dal proprio punto di vista; per semplificare la questione lo chiameremo “P”. P ha una vita perfetta, una moglie perfetta, dei figli perfetti e una carriera perfetta, o così appare all’esterno. In realtà, in questa famiglia perfetta, aleggia un unico grande difetto: non c’è mai stata passione; mai un coinvolgimento sentimentale tra i due coniugi, mai uno slancio di ardore, ma solo e soltanto una piatta e rassicurante monotonia.
Ingrid – la moglie di P – rappresenta la normalità del  nostro protagonista, la serena routine, un costante loop familiare.
Sally – la figlia di questa coppia perfetta- è straordinariamente ordinaria.
Martyn - il figlio dei due coniugi -  è un inguaribile Don Giovanni.
Tutto mantiene un perfetto equilibrio durante le prime pagine del libro, sebbene traspaia un alone di imminente catastrofe, un sentore di vicina crisi, di inevitabile rottura. La crisi, la rottura, non tarda ad arrivare, infatti, e si manifesta nella persona di Anna, la nuova fidanzata di Martyn.
Anna ha un passato oscuro, danneggiato da una torbida esperienza amoroso-familiare e sembra aver trovato il proprio equilibrio, la propria normalità, in Martyn. Inevitabilmente, anche P- come Martyn – si innamora di Anna , trovando in lei una fonte di vita vera, di passione, di travolgente sensualità e sessualità. Anna mette subito in guardia P da sé stessa, dichiarando di essere una persona pericolosa. “Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere”.
La relazione di P con Anna è differente da quella di Martyn con la stessa  donna: Martyn non fa domande, non ha pretese, vive e lascia vivere. P – invece – brama ogni “goccia” del passato di Anna. E d’altronde è comprensibile: un uomo che ha avuto tutto è come un uomo che non ha avuto niente e ha una sete maggiore, una brama di vivere molto più grande, più soffocante. P non si accontenta del corpo di Anna, ma comincia a desiderare di trascorrere con lei una vita “alla luce del sole”. P diventerà vittima e carnefice alternativamente, ma è Anna a detenere – nonostante tutto – il “potere”, il controllo assoluto sui suoi uomini.  Li danneggerà in maniera irreparabile; sarà causa di dolori e sofferenze inaudite, come lo era stata in passato.  Anna ha ciò che il protagonista vuole o vorrebbe vivere;  il protagonista ha ciò che Anna vuole: un completamento di desideri e personalità. Un continuo chiasmo di personaggi e di ruoli; un ripetersi di avvenimenti, un riaffiorare di episodi, di flashback in un libro silenziosamente diviso in tre parti: prima di Anna, durante Anna, dopo Anna. Continue considerazioni tormentate e tormentose di un’esistenza che non ha appagato un’anima; pensieri su cosa siano la vita e l’amore, pensieri dai quali comprendiamo che non sempre la perfezione coincide con la felicità.
Un libro ricco di simboli, simboli come “seme e lacrime” (che rappresentano la notte), simboli come i mobili e gli immobili (che fanno da specchi delle anime dei protagonisti), oppure – ancora – simboli come il bianco e il nero.
Un libro che divide nettamente il concetto di ciò che l’impulso ci dice di fare da ciò che la ragione ci dice che è giusto fare. Un libro doloroso, lacerante, dilaniante; un libro dai fragili e superficiali equilibri che minacciano costantemente di rompersi. Possedere senza poter avere veramente. Cosa è giusto? Continuare a fingere rischiando di non sapere cosa significhi vivere oppure rischiare di morire per aver scelto di vivere? Chiedere di più e rischiare di perdere tutto oppure accontentarsi, ma avere almeno la certezza dell’eternità? Può, la morte dell’anima, precedere quella del corpo? A queste e a molte altre domande troverete risposta se deciderete di leggere questo libro così toccante, in grado di costruire e distruggere nella successione dei suoi brevi, ma intensi capitoli.

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