Basta!
Sono morta il 16 luglio
1945 nel deserto del New Mexico, per un esperimento. Poi sono morta ancora in
una città giapponese di nome Hiroshima, il 6 agosto dello stesso anno. E poi
ancora una volta tre giorni dopo, in un’altra bellissima città: Nagasaki. Sono nata e morta ancora migliaia di altre
volte dopo queste tre, ma lo scopo per cui sono stata creata la prima volta non
è mai stato raggiunto e credo che mai si raggiungerà. La mia prima famiglia era
molto singolare; ho avuto due padri, una madre e molti ostetrici. Uno dei miei
padri, un certo Roosvelt era, in quegli anni, il Presidente degli Stati Uniti
d’America; l’altro, nientemeno che il Primo Ministro inglese Churchill. Di
questo non posso certo lamentarmi e non posso che andar fiera anche di mia madre,
la Signora Fisica Nucleare. Avrei preferito non nominarla nemmeno, proprio
perché ne vado fiera e la rispetto, ma per dovere di cronaca, sento che
tagliarla fuori sarebbe un disonore assai maggiore. E’ stata una decisione
molto sofferta quella di mettermi al mondo, sofferta quasi quanto le modalità
della mia nascita. I miei padri hanno dovuto chiamare in causa degli esperti,
scienziati la cui fama li precedeva di lunga distanza. Erano in molti, ma
alcuni sono passati alla storia più degli altri e tra questi spiccavano Fermi,
Teller, Szilard, Wigner ed Einstein. Le
loro menti si unirono sotto il segno di un progetto denominato “Manhattan” e
davanti agli occhi attenti del fisico Robert Oppenheimer. Sono nata in segreto
e con lo scopo di contrastare la potenza della Germania e di colui che aveva
costretto all’esilio alcuni dei miei creatori: Adolf Hitler. Avrei dovuto
portare la pace e invece sono stata foriera di guerra, morte e distruzione.
Luoghi comuni, ma cui mai ci si abitua, soprattutto se si è me: una bomba
atomica. Strano a dirsi, ma sono nata per morire e portare con me tanti che, ho
capito troppo tardi, essere innocenti. Sono venuta al mondo per distruggerlo e
ancora
oggi non capisco perché
per fermare un solo uomo io abbia dovuto abbatterne tanti altri. Con
l’esperienza accumulata nelle mie tante deflagrazioni sono arrivata però a
comprendere che l’uomo prova due sentimenti quando decide di usarmi: paura e
brama di potere e di dominio. Tanto è vero che una delle mie “performance meglio riuscite” secondo gli
Americani, è stata proprio quella su Hiroshima. Avrei dovuto costringere i
Giapponesi alla resa incondizionata o alla capitolazione. Purtroppo nessuno ha
davvero compreso che sarebbe stato impossibile effettuare una scelta, perché la
distruzione era l’unica scelta. I miei creatori, all’inizio, erano come me:
ignari, ma speranzosi. Fiduciosi, hanno vissuto per tanto tempo in condizioni
disagiate e poco confortevoli, ma erano pieni di grandi speranze; coltivavano
aspettative per un futuro migliore dominato dalla pace tra i popoli e per
questi motivi confidavano nella bontà del loro progetto. Scientificamente
avrebbe rappresentato un gigantesco passo avanti e umanamente avrebbe potuto
garantire la tranquillità e la pace. La pace, a dire il vero, sono riuscita a
fargliela avere, ma a quale prezzo? E’ facile arrendersi di fronte alla morte e
non è di certo un nobile gesto conquistare la pace con essa o con la sua sola
minaccia. Ma quello che ancor più mi è oscuro è il perché, usatami la prima
volta, non si siano vergognati, come è successo a me, del loro gesto. Come non
siano rimasti abbastanza inorriditi da non prendere più neanche minimamente in
considerazione l’eventualità di ripetere quell’errore. Come si può reiterare la creazione di un
disastro di proporzioni mondiali per migliaia di volte? 2153 gli errori fino ad
oggi. Quanto ancora sporcheranno la loro coscienza e la mia? Quanto altro
sangue mi costringeranno a spargere prima di aprire gli occhi e ridestarsi
dall’incubo reale che con le loro mani hanno creato? Quanto ci vorrà perché
capiscano che non sono io la soluzione che cercano e che sono pronta a
sacrificare la mia morte – perché per me vale il discorso contrario – per dar
loro la vera pace? Se sperano di trovare quest’ultima sacrificando la gente
allora devo dedurre che ho fallito; non ho insegnato nulla e non sono riuscita
nel mio vero grande intento: farli imparare dai loro errori perché non li
commettessero mai più. Purtroppo, per me è del tutto impossibile resistere
all’impulso generato dall’innesco che mi fa esplodere dando vita ad una
reazione a catena devastante. E soffro. Soffro perché sono nelle mani di chi mi
crea – per poi distruggermi – e in quelle di mia madre, la Fisica Nucleare. E
non crediate che non pianga. Piango anch’io, artefice nolente della rovina
umana, spandendo le mie schegge come lacrime, amplificando il dolore così come
la fissione fa espandere le mie particelle. Lo so che questo dolore non è
niente in confronto a quello che ho causato e che causo ancora, ma non riesco a
non pensare a ciò che succede quando mi avvicino alle persone. Vorrei urlare
loro di spostarsi, di fuggire, ma avviene tutto troppo in fretta. Non sono in
grado di rallentare o di seppellire la mia la mia forza e non posso evitare
l’impatto, non riesco. Scaravento in aria ogni cosa, chiunque io tocchi. Alcuni
li ho fatti sparire lasciando le loro immagini stampate sui muri come fossero
ombre. Fantasmi di cui ricordo ogni volto e che non hanno avuto neanche il
tempo di dire addio ai loro cari, di salutare i loro amici. Alcuni li ho
mandati in pezzi, milioni di piccoli pezzi infuocati. Ignari di ciò che stava
per accadere loro e della fine che avrebbero fatto, tanti si sono voltati a
guardarmi e ho visto solo una cosa nei loro occhi, rischiarata dalla mia luce
accecante: la paura. Sono destinata a vedere solo quella da molti anni a questa
parte e non faccio altro che sognare come sarebbe il mondo se tutti, nei loro
occhi, avessero invece la serenità e la gioia.
Neanche gli edifici
resistono e sono costretta a portarli tutti via con me. Vetro, ferro, acciaio e
mattoni… Nessun materiale oppone resistenza. Legno, carta, stoffa e acqua; ogni
cosa è vittima del mio impeto. Tanto che ho sulla coscienza anche il futuro di
chi rimane: ho dato vita a creature mostruose, ho menomato corpi, bruciato
capelli, amputato arti o creatone di superflui; ho deformato, fatto proliferare
il cancro, mio ignobile alleato. La natura ha cercato di riparare i miei danni,
dando loro dell’acqua con cui porre fine all’arsura, al bruciore delle carni,
alla sete, ma io avevo contaminato anche quella e ho inflitto nuove sofferenze
a chi cercava sollievo dalle proprie pene. Persino gli uccelli prendevano fuoco
in volo, trasformandosi in coriandoli
neri.
Visto l’effetto su
Hiroshima, ho sperato che si sarebbero fermati a riflettere e invece, solo tre
giorni dopo, col timore che gli scoppiassi addosso e col pensiero di non
potermi riportare indietro, si sono disfatti di me, liberandomi su Nagasaki.
Forse non tutti sanno che ho creato anche lì gli stessi danni creati su
Hiroshima e pochi la nominano, ma io ricordo ogni vita che ho spezzato, ogni
muro che ho mandato in pezzi, ogni luce che è scaturita da me per poi dare
spazio al buio del mio fungo atomico. Ricordo ogni cielo che ho oscurato e ogni
singolo pianto dei bambini che ho fatto ammalare. Coloro che sono
sopravvissuti, gli Hibakusha, parlano
di me. Mi ricordano per la luce che ho scatenato e per il calore che ho
prodotto. E in memoria di tutto questo, solo una cosa voglio dire: BASTA!
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