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lunedì 4 novembre 2024

MARIA MORGANTI e MARY HEILMANN

 

La "Ciotola" - unica tavolozza di Maria Morganti - in cui l'artista crea ogni giorno un nuovo colore a partire da quello, ancora umido, del giorno precedente.

“Nulla può tanto poco toccare un’opera d’arte quanto un discorso critico. […] Le cose non si possono afferrare o dire tutte come ci si vorrebbe di solito far credere; la maggior parte degli avvenimenti sono indicibili, si compiono in  uno spazio che mai parola ha varcato, e più indicibili di tutto sono le opere d’arte, misteriose esistenze, la cui vita, accanto alla nostra che svanisce, perdura”.[1]

Qualche giorno fa mi è stato regalato un libro che desideravo da tanto tempo: “Lettere a un giovane poeta” di Rainer Maria Rilke. Leggendolo, vi ho trovato delle splendide riflessioni sull’arte. Poi, per una serie di coincidenze o di intrighi del destino, mi è capitato fra le mani un libretto di aforismi di Oscar Wilde in cui ho trovato una marea di pensieri e riflessioni sul mondo dell’arte. Ho detto che si è trattato di una serie di coincidenze non a caso, infatti, proprio in questi giorni, ho potuto assistere all’anteprima di due mostre d’arte, alla GAM di Torino, che riguardavano Maria Morganti e Mary Heilmann. I due libri – quello di Rilke e quello di Wilde - sono venuti in mio aiuto mentre cercavo le parole per redigere l’articolo su ciò che avevo visto alle mostre. Pensavo: io non sono un critico d’arte, forse non sono qualificata per parlare di Astrattismo, come faccio a raccontare queste opere?, cosa posso dire per non cadere in una recensione astratta quanto ciò che ho visto?, come posso descrivere l’arte non figurativa?, è meglio che scriva due articoli separati o uno solo che racchiuda entrambe le mostre?, e altre cose così. Poi, mi è venuta un’idea… Ho pensato di estrarre tutte le citazioni sull’arte che avevo letto, ordinarle secondo un criterio logico-discorsivo e creare così un breve saggio critico-non-critico. Per arricchire il mio lavoro sono andata a curiosare anche sui miei vecchi testi scolastici[2] e ho trovato un sacco di materiale che mi ha aiutata a contestualizzare le mie intuizioni e le mie suggestioni. In breve, ho cercato di dare un senso al fluire dei miei pensieri. Per farlo, sono partita da quello che mi sembrava un punto a mio svantaggio, ovvero: io non sono un critico d’arte.

“Il critico è colui che sa trasformare in una nuova foggia o in un materiale nuovo le impressioni da lui riportate intorno alle cose belle”.[3]

“La critica, tanto nella forma più alta che nella più bassa sua espressione, non è che una forma di autobiografia”.[4]

“Anche il critico è a suo modo un artista”.[5]

“La critica è in se stessa un’arte… Non può essere giudicata alla stregua di un basso criterio di imitazione o di somiglianza, né più dell’opera del poeta o dello scultore. Il rapporto che esiste fra il critico e l’opera d’arte ch’egli esamina, è lo stesso che corre fra l’artista e il mondo visibile di forma e di colore o il mondo invisibile della passione e del pensiero. La sua arte per raggiungere la perfezione non esige neppure i materiali più fini. Tutto può servire al suo scopo”.[6]

Saper raccontare opere d’arte è un’arte, perciò posso dire che più che un critico sono un’artista; un’artista che, parlando di cose che stanno fuori, dice di sé più di quanto vorrebbe ammettere. Per esempio, potrei far trapelare che l’Astrattismo non è il genere di arte che preferisco, ma nonostante i miei gusti propendano per altri generi, tengo vive le mie capacità empatiche e la mia sensibilità per poter ugualmente trovare dei punti di contatto con le opere e con gli artisti (e le artiste) che meno raggiungono il mio “palato”.

“Un’opera d’arte è buona, s’è nata da necessità”.[7]

“Il senso del dovere è simile a un’orribile malattia. Distrugge i tessuti del pensiero come certe malattie distruggono i tessuti del corpo”.[8]

Arte come necessità e necessità come bisogno, ma bisogno di cosa esattamente? Mi sono posta questa domanda pensando sia alle opere di Maria Morganti sia a quelle di Mary Heilmann. Ho assistito alla conferenza stampa, nella quale sono state dette molte cose su entrambe. La prima era addirittura presente e ha parlato in prima persona del proprio lavoro, ma io me lo domando comunque. Per produrre arte, sotto qualsiasi forma, occorre provare una sensazione di bisogno, un desiderio imperioso e cocente, un impulso dall’interno. Cosa avrà spinto queste due artiste a dipingere? E per quale motivo hanno deciso di esprimersi proprio adottando lo stile e le tecniche che usano? Se senti di “dover” fare qualcosa – non per imposizione dall’esterno, bensì da un potente slancio interiore, da un fortissimo desiderio personale – allora di sicuro darai vita a qualcosa di unico, autentico, eccezionale. Kandinskij riteneva che ogni artista dovesse obbedire a una necessità interiore; pertanto, la scelta dei mezzi espressivi sarebbe potuta cadere su qualsiasi cosa e portare sia a un risultato realistico sia ad uno astratto. Qual è, dunque, la scintilla di Morganti e Heilmann? Cosa le ha spinte nella direzione che hanno imboccato?

La raccolta completa dei 221 scatti dell'anno 2012 prodotti da Maria Morganti al rio del Gozzi (Venezia). Posizione, inquadratura e angolazione sono sempre le stesse, cambiano solo i giorni in cui sono state scattate le fotografie.

“L’artista non desidera mai dimostrare una qualsiasi cosa”.[9]

“L’arte è sempre inutile”.[10]

“L’arte è a un tempo rappresentativa e simbolica”.[11]

“Ogni arte è immorale”.[12]

“Lo scopo dell’arte non è la semplice verità, ma la complicata bellezza. L’arte è in fondo una forma di esagerazione delle cose, […]”.[13]

“L’emozione per l’emozione è il fine dell’arte; e l’emozione per l’emozione è il fine della vita, […]”.[14]

“La vera scuola dell’arte non è la vita, ma l’arte stessa”.[15]

‘Emozionarsi’ è la parola d’ordine. Emozionarsi mentre si crea, mentre si produce, senza preoccuparsi dell’effetto che avrà sugli spettatori: è questa la chiave di tutto?

Mary Heilmann, alcune opere tra cui spicca, in alto a sinistra, "Orbit".

 

“L’arte ha le sue origini nell’ornato, nel lavoro di pura immaginazione e di diletto che si occupa dell’irreale e del non esistente. È questo il suo primo stadio. Poi la vita subisce il fascino di questa nuova meraviglia e chiede di essere accolta entro il cerchio magico. L’arte accetta la vita come facente parte della sua materia prima, la crea di nuovo foggiandola in forme nuove; l’arte ostenta la più assoluta indifferenza per i fatti; essa immagina, inventa, sogna, e mantiene fra sé e la realtà la barriera impenetrabile della bellezza stilistica, del trattamento decorativo e idealistico. Poi succede un terzo stadio, quando la vita acquista la superiorità e caccia l’arte nel deserto. Questa è la vera decadenza di cui soffriamo attualmente”.[16]

“L’arte crea un effetto incomparabile ed unico, e ciò fatto passa oltre”.[17]

“Conoscere i princìpi dell’arte suprema vuol dire conoscere i princìpi di tutte le arti”.[18]

“L’artista è colui che crea cose belle”.[19]

“Il vero artista non si preoccupa minimamente del pubblico. Per lui il pubblico non esiste”.[20]

“L’opera d’arte deve signoreggiare lo spettatore. Non sta allo spettatore signoreggiare l’opera d’arte”.[21]

Mary Heilmann, alcune opere, tra cui "Trellis" (1996) in alto a sinistra.

 

Dunque nell’Astrattismo, così come in qualunque altro genere, non si tiene conto dell’effetto ma soltanto della causa. Quale sia questa causa - questo bisogno impellente di stendere quel colore su quella tela, in quel modo e in quella forma - forse non ci verrà mai rivelato, ma possiamo sempre contare sul fatto che –inevitabilmente, anche se non è lo scopo dell’artista – un’opera d’arte avrà comunque un impatto sul pubblico. Un osservatore formula sempre un’opinione su ciò che osserva, e – così facendo – diventa esso stesso un artista, cioè un critico che ‘fa a pezzi’ l’opera di partenza per ‘ricostruirla’, a modo proprio, nella propria mente, infarcendola con il proprio ‘sentire’.

E nelle mostre di Maria Morganti e Mary Heilmann io ho ‘sentito’ il colore. 

Maria Morganti, ""Dentro la pittura #2" e "Gemmazione #7"

 

Il colore è diventato materia, perché nel colore c’è già tutto: c’è l’immagine, la forma, il tempo, l’emozione provata e quella trasmessa. Il colore diventa un’opera d’arte, fatta e finita. Sempre che si dia il giusto peso anche al modo in cui viene steso… Sembra, infatti, che Heilmann non dipinga solo coi pennelli, ma anche a mani nude, lasciando  segni del proprio passaggio sulle superfici pigmentate.

Mary Heilmann, "Deep water" (2022) e "Dive under" (2022), acrilico su pannelli.

L’immagine è ‘denaturata’, de-composta e infine ricompattata in puro colore. L’aspetto è denso, come quello che aveva il pongo che usavo da bambina e che stendevo sulla carta per colorare i miei disegni.

Mary Heilmann, alcune opere, tra cui "Chemical Billy" (2000), in basso a sinistra.

Il colore è un modo per arrivare all’essenza primaria delle cose e della natura, staccandosi però dalla riconoscibilità delle forme naturali. Così come accadde ai dipinti di Kandinskij, che si allontanarono dalle rappresentazioni della realtà esterna per rispecchiare invece la sfera emotiva e spirituale dell’artista, grazie all’uso delle geometrie e degli accostamenti di colore.

Mary Heilmann, "French Screen", 1978

Franz Marc sosteneva che occorre distruggere, e non riprodurre, la natura per cercare non le apparenze, ma le leggi che essa nasconde. Occorre, quindi, dipingere la forma ideale, originale ed essenziale delle cose.

E, infatti, le altre cose che ho ‘sentito’ sono le forme.

Mary Heilmann, particolare di "Good Vibrations Diptych, remembering David" (2012), ceramiche smaltate.

Nel 1926 Kandinskij pubblicò “Punto, linea nel piano”, un testo nel quale analizzava le proprietà del punto, inteso come essenzialità, come entità da cui tutte le forme geometriche hanno origine, e della linea, intesa invece come traslazione del punto sul piano. Ecco, di linee e punti se ne vedono parecchi, nei lavori di Heilmann… Cerchi e rette e composizioni di rette a creare – nella mia testa – analogie con le opere di un altro artista votato all’Astrattismo, ovvero Piet Mondrian.

Maria Morganti, "Progressione lunga #1", "Progressione lunga #2", "Progressione lunga #4"

L’uso della geometria delle combinazioni di colori e non colori rappresentava, per Mondrian, una tensione continua verso la realizzazione della fusione dell’arte con l’interiorità e, forse, anche in  Heilmann è in atto la stessa ricerca.

Maria Morganti, "Confronto con Balestra dopo il restauro". Si tratta della risposta cromatica di Morganti alla "Madonna" settecentesca di Antonio Balestra.

 

Paul Klee affermò:

“La natura può permettersi di essere prodiga in tutto, l’artista deve essere economo fino all’estremo. La natura è loquace fino a essere confusa, l’artista sia ordinatamente riservato […]. Se i miei dipinti destano talora l’impressione del primitivo, questa ‘primitività’ si spiega con la disciplinata riduzione del tutto a pochi tratti. Essa è soltanto senso dell’economia: in definitiva, perfetta capacità professionale, l’opposto della vera primitività”.[22]

Ho ravvisato questa ‘economia’ nei lavori di Maria Morganti più che in quelli di Mary Heilmann. Il suo quotidiano rituale della ciotola mi ha ricordato il costante rinnovo del lievito madre, tenuto in vita dalla cura, quasi maniacale, del suo creatore. Ogni giorno, nella ciotola al centro del suo studio, Morganti dà vita a un nuovo colore – ‘empatico’ – ravvivando il colore del giorno precedente, che in questo modo non si secca mai, ma si ‘reincarna’ in uno diverso, adatto al tempo, alle circostanze, alle atmosfere e al ‘sentire’ di Morganti in quel momento.  Morganti, stando alle parole di Elena Volpato – Curatrice della mostra – trasforma il tempo e il colore in un’unica materia concreta, e con quella dipinge.

"Rimpicciolimento Luogogesto". Si tratta della rappresentazione in miniatura del Luogogesto di Maria Morganti (compartecipazione di Melania Fusco e Marta Magini).

 Fa poi crescere con un solo colore varie tipologie di opere, le ravviva, le rinnova, in una costante propagazione… I suoi dipinti sono dunque dei veri e propri diari che però non terminano col finire del giorno, ma si ricollegano al giorno successivo. Volpato le paragona ai cerchi che si formano sull’acqua quando vi si getta un sassolino, io le vedo più come quelli che ci permettono di sapere quanti anni ha un albero, perché si aggiungono man mano a quelli precedenti.

Maria Morganti, "Diari di viaggio", 2018-2023

Anche nelle opere di Morganti il colore è protagonista, ma ci sono differenze sostanziali tra il suo stile e quello di Heilmann. Innanzitutto Morganti si auto-definisce artista-archivista. Significa che c’è un ordine rigoroso nella catalogazione delle tele; il suo studio – attualmente in mostra alla GAM di Torino come se fosse esso stesso una delle opere – è precisione pura. E, siccome dove c’è un archivio è dominante la presenza del tempo, è naturale associare a Morganti l’appellativo di ‘ordinata’. Non è così per Heilmann, che anzi, scombina, stravolge e ricombina spesso l’ordine delle sue opere senza tenere conto del fattore ‘tempo’.

Il Luogogesto di Maria Morganti.

Per sottolineare la doppia natura di Maria Morganti, la GAM è stata inizialmente allestita esponendo solo una parte delle opere e lasciando molte  delle pareti nude e spoglie, dotate solamente di ganci per accogliere l’ “Ostensione”, ovvero la performance avvenuta la sera dell’inaugurazione della mostra. Per l’occasione, dallo spazio in cui erano archiviate, sono state sfilate le tele mancanti che lentamente sono state appese a quei piccoli supporti in attesa. Io non ho assistito all’atto dell’ “Ostensione”, ho invece visto il vuoto propedeutico, la bolla nel tempo, lo spazio bianco in attesa della ‘cerimonia’.

Morganti è quindi sia una pittrice che ama l’ordine e sull’ordine basa il proprio lavoro, ma è anche una pittrice che reagisce emotivamente al tempo, alle circostanze, alle atmosfere di ogni giorno. È un’artista razionale e oggettiva, ma nello stesso tempo emotiva e soggettiva. E c’è ancora una cosa che segnala in modo chiaro e inequivocabile questo suo dualismo interno: una frase, il personale manifesto artistico di Morganti…

“Ogni opera esposta in questo spazio è sia un’opera autonoma e compiuta in se stessa, sia parte dell’Archivio-Opera dell’artista, ‘Un archivio del tempo’”.

Un immenso, infinito, puzzle, o forse un mosaico, una sineddoche di un’unica grande opera in cui – come afferma l’artista – “il colore accade”, una frase che mi ricorda vividamente il libro “Attraversare i muri” in cui Marina Abramović scrisse: “Che cosa è successo? È successa l’arte”.

Mary Heilmann, "Driving at night", 2016, acrilico su tela.

Ecco, forse è tutto qui, nel quotidiano, forse l’Arte è qualcosa che non va fatta, ma va lasciata accadere; forse siamo noi a definire ‘Arte’ quello che accade, mentre è soltanto vita su tela.

 

La mostra su Maria Morganti è a cura di Elena Volpato ed è visitabile fino al 16/03/2025.

La mostra su Mary Heilmann è a cura di Chiara Bertola ed è visitabile fino al 16/03/2025.

P.S.: vi lascio qui altre quattro citazioni di Oscar Wilde che ben si adattano a questo articolo. Mi erano sfuggite, ma meritano considerazione.

"L'artista deve creare cose belle, ma senza infondere in loro nulla della sua vita. Viviamo in un'epoca in cui gli uomini trattano l'arte come se dovesse essere una forma di autobiografia. Abbiamo perduto il senso della bellezza astratta".  

"È un errore credere che la passione che si prova nell'atto di creare si rispecchi nel creato. L'arte è sempre estranea a quanto creiamo. La forma e il colore ci parlano di forma e di colore, e nient'altro".

"Si dice che la tragedia della vita dell'artista è l'impossibilità per lui di rendere il suo ideale". 

"Ma la vera tragedia che affligge il maggior numero degli artisti è che essi rendono il loro ideale con troppa fedeltà, e quando un ideale è reso, non ha più né meraviglia né mistero, diventa soltanto un nuovo punto di partenza per un ideale diverso".






[1] Rainer Maria Rilke, “Lettere a un giovane poeta”, Adelphi.

[2] “Itinerario nell’arte. Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri”, vol. 3, Giorgio Cricco e Francesco P. Di Teodoro, Zanichelli.

[3] Oscar Wilde, “Aforismi”, Newton Compton.

[4] Oscar Wilde

[5] Oscar Wilde

[6] Oscar Wilde

[7] Rainer Maria Rilke

[8] Oscar Wilde

[9] Oscar Wilde

[10] Oscar Wilde

[11] Oscar Wilde

[12] Oscar Wilde

[13] Oscar Wilde

[14] Oscar Wilde

[15] Oscar Wilde

[16] Oscar Wilde

[17] Oscar Wilde

[18] Oscar Wilde

[19] Oscar Wilde

[20] Oscar Wilde

[21] Oscar Wilde

[22] Da “Itinerario nell’arte”

 

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