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sabato 25 gennaio 2020

"L'IO DELLA MENTE", Hofstadter e Dennett, Adelphi Edizioni.


Leggendo “L’io della mente” di Douglas R. Hofstadter e Daniel C. Dennett, (Adelphi Edizioni), mi sono accorta che il confine tra scienza, fantascienza e filosofia  è davvero molto sottile.
Il libro in questione è un viaggio straordinario tra dissertazioni (filosofiche, scientifiche, ecc.), possibilità ed eventualità talmente assurde e a malapena concepibili da risultare – paradossalmente – reali e concrete o, quantomeno, concretizzabili in un prossimo futuro. Montagne russe in un panorama costituito da trapianti di cervelli[1] e ricostruzioni di personalità, sensazioni e percezioni date dall’essere vivi, racconti e riflessioni su cosa sia la coscienza (e dove risieda) e sulle possibilità – più o meno remote – di ri/crearla artificialmente. Materializzazioni e smaterializzazioni, Intelligenze Artificiali, mondi in miniatura, dualismo mente-cervello, anima-corpo; un percorso vertiginoso tra atomi, neuroni e sinapsi, tra circuiti e meccanismi, tra memoria del passato e costruzione del futuro, tra morte e resurrezione (o risveglio) e rinascite. E moltissimo altro ancora attende il lettore che deciderà di leggere questo saggio ricco e articolato. Una lettura necessaria per salire sul treno delle fatidiche domande: “Chi sono Io?” “Di che cosa è fatto il mio Io e dove risiede?” “Chi sta dicendo «mio» se «Io» è il soggetto della frase: «Io ho/sono il mio Io»?” “Quali sono i confini tra «dentro» e «fuori»?  e spingersi oltre… Dove? Nel mondo dei sogni, ad esempio, per correre sul filo di altre spinose domande, come le seguenti:
-         Il sogno è la realtà o la realtà è il sogno?
-         Quando sogno io sono il soggetto sognante o l’oggetto sognato? E, in questo caso, chi è il sognatore e chi il sognato?
-         È la mia mente, che sogna, o il mio cervello? E cosa cambia quando sogno me stesso/a in prima persona invece che in terza persona? Chi è – dunque – l’ “Io autentico (posto che ce ne sia uno)? Possiamo avanzare l’ipotesi che esista un “Io autentico” contrapposto a un “Io fittizio”? E – se esistessero entrambi – a chi dovrebbe spettare il compito di stabilire quale dei due è quello autentico?
-         E in che senso siamo esseri pensanti? Ha qualcosa a che vedere con il Libero Arbitrio? (A questo proposito, vi invito a leggere con attenzione il dialogo intitolato “Dio è taoista?” - presente all’interno de “L’io della mente” – scritto da Raymond M. Smullyan).
-         Quando  so/penso di essere sveglio/a, posso dire davvero che sto vivendo nella realtà o dovrei, invece, considerare la possibilità di sognare quando sono sveglio/a e di essere sveglio/a quando sogno?
-         E, ancora: nei sogni, a volte, si soffre, ma – supponiamo che il mondo onirico sia soltanto una finzione – perché si soffre? E – soprattutto – chi prova la sensazione della sofferenza?
In tutto questo, quanto conta avere un corpo che fornisca esperienze sensoriali al cervello affinché le possa elaborare? In altre parole: la coscienza ha bisogno di un corpo, per poter avere coscienza di sé, ovvero per poter avere la consapevolezza di esistere? Vi siete mai sorpresi (e mai espressione fu più azzeccata) a pensare: “Da dove mi arriva questo pensiero?” Io mi sono posta questa domanda più e più volte. Naturalmente non ho LA risposta, ma ho formulato delle ipotesi:
1.   Tutto ciò che penso è frutto di connessioni neurali e impulsi elettrici, quindi chi compie l’azione del pensare è il mio solo cervello.
2.   Ogni pensiero parte dalla mia mente (il mio “Io Grande”) e arriva “già pronto” al mio cervello, per cui, forse, sarebbe più corretto affermare che Io sono composta da una mente e un cervello, e che l’una sta all’altro in un rapporto dualistico. Ma qui mi sorge un nuovo dubbio: cosa accadrebbe se troncassi questo rapporto e isolassi le due parti in causa? [“Un’anima è più del canto (o del conto) delle sue parti? Pag. 189]
Personalmente propendo per la seconda ipotesi, ma – a questo proposito – ho un altro tarlo che continua a infastidirmi: se il mio Io è formato da un pensatore (la Mente) e un “dispositivo di traduzione del pensiero”(il Cervello), dovrei essere o no sempre consapevole del fatto che sto pensando? Nel caso in cui debba esserne consapevole, come si spiegherebbe il fenomeno del “soprappensiero”? Se fossi consapevole di essere soprappensiero non sarei soprappensiero, giusto? Ecco, non riesco proprio a venirne a capo…
“La coscienza richiede un grado notevole di autocoscienza”. Pag. 180
Cioè: “La mente è una configurazione percepita da una mente”. Pag. 197
“La percezione risiede al livello del sistema globale, non al livello del simbolo del sé”. Pag. 197


[1] Ricorderete, probabilmente, “GAMMA”, uno sceneggiato televisivo (giallo  a sfondo fantascientifico) suddiviso in quattro puntate, trasmesso per la prima volta dalla RAI nel 1975, per la regia di Salvatore Nocita su un soggetto del medico Fabrizio Trecca. Lo sceneggiato raccontava di un trapianto di cervello su un giovane pilota automobilistico infortunato e delle sue implicazioni etiche.
Informazioni tratte da: https://it.wikipedia.org/wiki/Gamma_(miniserie_televisiva)

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