TESTI DI RIFERIMENTO:
-
“Essere una macchina”, Mark
O’Connell. Adelphi.
-
“Zero K”, Don DeLillo. Einaudi.
-
“Metafisica dei tubi”, Amélie
Nothomb. Voland.
-
“Le intermittenze della morte”, José
Saramago. Feltrinelli.
-
“Frankenstein”, Mary Shelley.
Feltrinelli.
-
“Homo Deus” Yuval Noah Harari.
Bompiani.
ALTRI TESTI CITATI:
-
“Riparare i viventi”, Maylis De
Kerangal. Feltrinelli.
-
“Un calcio in bocca fa miracoli”,
Marco Presta. Einaudi.
-
“I tabù del mondo”, Massimo
Recalcati. Einaudi.
-
“22.11.63” Stephen King. Pickwick.
FILM CITATO:
-
“Lucy”, film del 2014, diretto,
scritto e co-prodotto da Luc Berson e interpretato da Scarlett Johansson,
Morgan Freeman, Min-sik e Amr Waked.
MIEI VECCHI ARTICOLI CITATI:
-
“Riflessioni sulla Macchina del
Tempo”.
-
“Riparare i viventi”.
“Non
nasciamo per nostra scelta. Ma dobbiamo morire allo stesso modo?” (“Zero K”, Don DeLillo. Einaudi. P. 224)
“Ti
ho chiesto forse io, Creatore, di farmi uomo dall’argilla? Ti ho forse chiesto
io di trarmi fuori dall’oscurità?”
(J. Milton, “Paradise
Lost”, X, 743-745)
“La
vita è un lancio di monetina”. (“22.11.63”,
Stephen King. Pickwick. P. 13)
“Al giorno d’oggi
le persone vedono la morte come un problema tecnico che possiamo e dovremmo
risolvere. […] L’impresa più importante che attende la scienza moderna è la
sconfitta della morte e la promessa di essere eternamente giovani. […] Google
ha lanciato una controllata chiamata Calico la cui missione era, secondo il suo
statuto, «risolvere il problema della morte»”.[1]
A quanto pare ci
troviamo in un periodo di “evoluzione autodiretta che porterà
all’avvento di «specie postumane» dotate di superpoteri come i personaggi dei
fumetti. Un giorno, anzi, saremo simili a dei”.[2]
È ufficiale, dunque: l’uomo si sta muovendo concretamente verso
l’immortalità del corpo e dell’anima. Una quantità sempre maggiore di persone
sta abbracciando quel che prende il nome di “Transumanesimo”, ovvero un
“movimento fondato sulla certezza” (o sulla speranza? N.d.r.) “che
l’evoluzione futura della specie debba essere guidata dalla tecnologia”. [3]
Chiunque venga al
mondo è dotato di una “data di scadenza” [4]ed
è proprio questo limite che sembra non andare a genio ai transumanisti. Siamo
creature fragili, vulnerabili, ma si sta sviluppando “l’idea che questa condizione
possa non essere un destino ineluttabile; che, come accaduto per la miopia e il
vaiolo, vi si possa porre rimedio con l’intervento dell’ingegno umano”.[5]
Di fondo c’è “l’incapacità di accettarci per quello che siamo, o, se si preferisce,
l‘attitudine a credere che la nostra natura sia redimibile”.[6]
Questo, naturalmente, diventa valido soltanto se si arriva a giudicare “l’esistenza
quale ci è stata data” come un qualcosa che ha “l’aspetto di un sistema
perfettibile”[7],
perfezionabile, se preferite.
E come si conquista
l’immortalità, secondo gli appartenenti al Transumanesimo?
Estraendo “l’essenza
dell’individuo dalla corruttibile forma corporea”[8]
e trasferendola su supporti digitali. Semplice? Tutt’altro, perché per fare
tutto questo bisognerebbe – in primo luogo – capire quale sia il principio
vitale e – in secondo luogo – comprendere come tale principio funzioni. Su questo punto il mondo dei transumanisti si
spacca in due: da un lato, infatti, troviamo coloro che vedono l’uomo come un
mero insieme di dati, impulsi elettrici e informazioni computabili, mentre dall’altro ci
sono coloro che ipotizzano l’esistenza di una coscienza, indipendente dal
cervello.
“La questione
filosofica è: in quella forma, continuerei a essere me stesso? […] In che senso
quella riproduzione o simulazione coinciderebbe con «me»? […] Potrei veramente
dire che quella cosa è ME e io sono quella cosa? Sarebbe sufficiente che la
coscienza caricata su supporto credesse di essere me? (Ma anche, è sufficiente
che io creda di essere me stesso, ora? E, anzi, ha davvero senso domandarselo?).
Non so, ho la netta sensazione – dev’essere un’istintiva esplosione di segnali
subcorticali – che non ci sia distinzione tra «me» e il mio corpo, e che non
sia possibile per me esistere indipendentemente dal sostrato a partire dal
quale agisco, perché l’io è il sostrato e il sostrato è l’io”.[9]
“Mi sento una
versione artificiale di me stessa. Sono una persona che dovrebbe essere me”.[10]
Inquietante, tuttavia particolarmente esplicativa, questa affermazione delinea
i tratti di una mente oltre che di un cervello, una coscienza che – passatemi
il gioco di parole - ha coscienza di sé.
Che cosa definisce
chi siamo? La personalità, potreste rispondermi. Sì, ma - la personalità - da
cosa è composta? “A dirci chi siamo sono le cose che dimentichiamo”.[11]
Forse. O forse sono le cose che ricordiamo, la nostra memoria, unita alle cose
che immaginiamo, legate – a loro volta - a quelle a cui pensiamo, senza
tralasciare quelle su cui riflettiamo e quelle su cui ragioniamo. Ci sono cose
a cui cerchiamo di non prestare attenzione, cose che cerchiamo di rimuovere
dalla nostra mente e… beh, è possibile che siamo anche quelle. Molte sono le
cose che contribuiscono alla creazione di un “IO”, ma sarebbe un’impresa
impossibile elencarle tutte perché ogni personalità è in continua evoluzione,
in perpetuo mutamento. Quello dell’individuo è un’instancabile passaggio da uno
stato all’altro, senza soluzione di continuità. Probabilmente tale principio è
applicabile anche a quelle due condizioni che siamo soliti chiamare “vita” e
“morte”.
Impossibile -
dunque - parlare di morte prescindendo dalla vita e, allo stesso tempo, “Al
fine di studiare le cause della vita, prima è necessario far ricorso alla
morte”.[12]
La fine è nell’inizio e l’inizio è nella fine. Cioè: la nostra morte è scritta
al momento della nostra nascita e ogni
vita scaturisce da una condizione precedente, da uno stato che chiamerei
“non-vita”.
Ma che cos’è la
morte? E quando possiamo dire che una creatura è morta?
“Morte! Come se io
non avessi saputo cos’era! Come se i miei due anni e mezzo me ne
allontanassero, mentre invece mi ci avvicinavano! Morte! Chi poteva sapere
meglio di me? Mi ero appena allontanata dal significato di quella parola! Lo
conoscevo addirittura meglio degli altri bambini, io che l’avevo protratto al di
là dei limiti umani. Non avevo forse vissuto due anni di coma per quanto sia
possibile vivere il coma? Che cosa avevano dunque pensato che facessi nella mia
culla, per tutto quel tempo, se non morire la vita, morire il tempo, morire la
paura, morire il niente, morire il torpore? La morte: avevo esaminato la cosa
da vicino. La morte era il soffitto. Quando si conosce il soffitto meglio di sé
stessi, questo si chiama morte. Il soffitto è ciò che impedisce agli occhi di
salire e al pensiero di elevarsi. Chi dice soffitto dice tomba: il soffitto è
il coperchio del cervello. Quando arriva la morte, un coperchio gigante si posa
sulla vostra pentola cranica”.[13]
Il breve estratto
che avete appena letto rappresenta uno dei tanti tipi di morte con cui potreste
avere a che fare nel corso della vostra vita: l’impedimento.
“Chiesi […] perché
ù fosse appeso a una croce.
-È per ucciderlo –
rispose.
-Essere su una
croce uccide gli uomini?
-Sì, è perché è
inchiodato al legno. I chiodi lo uccidono”.[14]
Tutte le volte che
vi viene impedito o vi impedite di fare qualcosa di costruttivo, tutte le volte
che siete costretti a mettere un velo al vostro sguardo, a fermare il vostro
pensiero, a bloccare il vostro slancio,
la vostra ricerca o i vostri sentimenti correte il rischio di cadere in uno
stato di morte intellettiva. Ne deriva una grande quantità di frustrazione e,
successivamente, di rassegnazione. Sempre che ci si lascia soggiogare
dall’accidia…
“Chi ha conosciuto,
in un modo o nell’altro, la morte troppo da vicino e ne è tornato indietro, si
porta dentro la sua propria Euridice: sa che in lui c’è qualcosa che si ricorda troppo bene della morte, e che
è meglio non guardarla in faccia. Il fatto è che la morte, come una tana, come
una stanza con le tende chiuse, come la solitudine, è insieme orribile e
allettante: si ha la sensazione di poterci stare bene. Basterebbe lasciarsi
andare per raggiungere questa ibernazione interiore. Euridice è così seducente
che quasi ci si dimentica perché si debba resisterle. Si deve farlo per l’unica
ragione che, normalmente, il viaggio è di sola andata. Altrimenti non ce ne
sarebbe bisogno”.[15]
Difficile non
associare questa citazione con la seguente,
tratta da “I tabù del mondo” di Massimo Recalcati: “La vita è innanzitutto
resistenza alla morte”.[16]
E, visto che sono stati chiamati in causa i vari tipi di morte, non posso non
aggiungere la dissertazione filosofica, su tale suddivisione, presente ne
“Le intermittenze della morte”
di José Saramago:
“Ti sei mai chiesto
se la morte sarà la stessa per tutti gli esseri viventi, siano essi animali […]
o vegetali […], sarà la stessa morte che ammazza un uomo che sa che morirà e un
cavallo che non lo saprà mai. […] In che momento muore il baco da seta dopo
essersi chiuso nel suo bozzolo e avere sprangato la porta, com’è possibile che
la vita di una sia nata dalla morte dell’altra, la vita della farfalla dalla
morte della crisalide, e che siano la stessa cosa in maniera differente, oppure
il baco da seta non è morto perché è vivo nella farfalla. L’apprendista
filosofo rispose, il baco da seta non è morto, è la farfalla che morirà dopo
aver deposto le uova, Questo lo sapevo già prima che tu nascessi, disse lo
spirito che aleggia sopra le acque dell’acquario, il baco da seta non è morto,
nel bozzolo non c’è rimasto nessun cadavere dopo che la farfalla è uscita,
l’hai detto tu, una è nata dalla morte dell’altro, Si chiama metamorfosi, lo
sanno tutti di che si tratta, disse condiscendente l’apprendista filosofo, Ecco
una parola che suona bene, piena di promesse e certezze, dici metamorfosi e vai
avanti, sembra che tu non veda che le parole sono etichette che si appiccicano
alle cose, non sono le cose, tu non saprai mai come sono le cose, e neppure
quali sono i loro nomi nella realtà, perché i nomi che tu hai dato loro non
sono altro che questo, i nomi che tu gli hai dato. […] Prima, al tempo in cui
si moriva, rare volte che mi son trovato davanti qualcuno che era deceduto, non
ho mai pensato che la sua morte fosse la stessa di cui un giorno sarei morto
io, Perché ciascuno di voi ha una propria morte, la porta con sé in un luogo
segreto sin da quando nasce, lei appartiene a te, tu appartieni a lei, E gli
animali, e i vegetali, Suppongo che andrà nello stesso modo anche per loro,
Ciascuno con la propria morte, Infatti, Allora le morti sono molte, tante
quante gli esseri viventi che sono esistiti, esistono ed esisteranno, In un
certo modo, sì, Ti stai contraddicendo, esclamò l’apprendista filosofo, Le
morti di ciascuno sono morti per così dire dalla vita limitata, subalterne,
muoiono con colui che hanno ammazzato, ma al di sopra di esse ci sarà una morte
più profonda, quella che si occupa dell’insieme degli esseri umani sin dagli
albori della specie, C’è dunque una gerarchia, Suppongo di sì, E per gli animali,
[…] Anche, E per i vegetali, […] A quanto credo di saperne, è lo stesso per
tutti loro, Cioè, ciascuno con la morte propria, personale e intrasmissibile,
Sì, E poi altre due morti generali, una per ogni regno della natura, Esatto, E
finisce qui la distribuzione gerarchica delle competenze delegate da tanatos,
domandò l’apprendista filosofo, Fin dove la mia immaginazione riesce ad
arrivare, vedo ancora un’altra morte, l’ultima, la suprema, Quale, Quella che
distruggerà l’universo, che realmente merita il nome di morte, anche se quando
ciò succederà, non si troverà più nessuno per pronunciarlo”.[17]
Così come esistono
due macro-tipi di vita e tanti micro-tipi quanti sono gli esseri viventi
nell’universo, esistono – dunque – tanti tipi di morte. Già, due macro-tipi di
vita: il primo, che deriva dal termine greco “bios”, che significa “vita” (quel tipo di vita che ha un inizio e
una fine) e il secondo (“zoé”),
anch’esso di origine greca, che indica “l’essenza della vita”. Anche la morte
ha, però, due macro-categorie, secondo Saramago: una è rappresentata dalla
morte e l’altra dalla Morte, con la “M” maiuscola. La prima è specifica, mentre
la seconda è universale. Il relativo e l’assoluto.
“Qualcosa continua
a dirmi che il significato della vita – ammesso che ne abbia uno – è nel suo
carattere animale, nella sua inseparabilità da fenomeni come nascita,
riproduzione, morte”[18].
Che dire, invece,
della “metamorfosi” menzionata nell’estratto? Qui viene il bello… vediamo
perché. In un mio vecchio (ma non troppo) articolo, intitolato “Riflessioni sulla morte”, ipotizzai
l’esistenza di tanti tipi di morte, uno fra tutti era quello che la vedeva come
naturale passaggio di stato. “La morte non è solo lo smettere di battere da
parte del cuore; non avviene soltanto perché sangue e, di conseguenza, ossigeno
non arrivano più al cervello; non è solo lo spegnersi dei sensi. La morte è
anche il periodico ricambio cellulare […]; morte vuol dire anche cambiamento:
moriamo ogni volta che subiamo una sconfitta, otteniamo una vittoria o
affrontiamo una perdita (che può essere anche di una parte di noi); morte
significa anche cessazione della ricerca, del desiderio di scoperta, ovvero
l’abbandono della volontà”. “Metamorfosi” è una parola (anch’essa derivante dal
greco) che vuol dire giustappunto “cambiamento”, “trasformazione” e ben si
adatta alla mia ipotesi. Parole. Parole che racchiudono concetti. Significati e
significanti…
“Dunque parlare
serviva a dare la vita? Non ne ero certa”.[19]
“Parlare poteva
dunque servire anche per assassinare. L’analisi dell’edificante linguaggio
altrui mi portò a questa conclusione: parlare era un atto di creazione ma anche
di distruzione. Era meglio starci molto attenti, con questa invenzione”.[20]
“Sapevo cos’era la
morte. Ma questo non mi bastava per capirla”.[21]
Saper identificare
e indicare le cose col loro nome non significa, infatti, saperle controllare; è
ciò che accade con la morte: le abbiamo dato un nome, sappiamo come chiamarla,
ma non per questo possiamo controllarla!
Per tante persone la
morte rappresenta una chiara violazione del “diritto alla vita”[22]
sancito dalla “Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo”, adottata dalle Nazioni Unite dopo la Seconda Guerra
Mondiale. E – come se fosse, appunto, un crimine contro l’umanità – le hanno
dichiarato guerra.
“È la vita che
dovrebbe essere considerata un cattivo funzionamento”. [23]
A giudicare dalle
suddette parole, tratte dal libro della Nothomb, (“Metafisica dei tubi”)
però, forse c’è anche una fetta di mondo che vede la questione in maniera
diametralmente opposta.
“L’altro concetto
che non mi era chiaro era cosa costituisse la fine. Quand’è che una persona
diventa un corpo? Ci sono vari livelli di resa, ho pensato. Il corpo interrompe
una funzione e poi forse un’altra, o magari no – il cuore, il sistema nervoso,
il cervello, dalle diverse parti del cervello fino al meccanismo di ogni
singola cellula. Ho pensato che esiste più di una definizione ufficiale,
nessuna caratterizzata da un consenso unanime. Venivano create di volta in
volta a seconda delle situazioni. Da medici, avvocati, teologi, filosofi,
professori di etica, giudici e giurati”.[24]
Ed ecco l’altro
tasto dolente: QUANDO è possibile stabilire che una creatura è DAVVERO MORTA? È
l’interrogativo su cui si regge anche tutto il libro di Maylis De Kerangal, “Riparare i viventi”, a cui ho dedicato
un intero post: Qui, un breve
estratto.
“[…] è davvero
corretto pensare che, se il cuore batte, si è in presenza di un organismo
vivente? […] «Non penso, dunque non sono», scrive l’autrice […] Quale ruolo
giocano cuore e cervello nel mantenimento di ciò che chiamiamo “vita”? […] Ma
l’autrice fa di più: svela ai suoi lettori l’inganno ordito dalla morte,
inganno per il quale Simon (il donatore, n.d.r.) sembra vivo – pur essendo
morto – mentre Claire (la ricevente) sembra morta, pur essendo viva Il confine
tra la vita e la morte, in questo libro, è appeso al filo del trapianto e il
lettore avverte in maniera tangibile la tensione creata dalla necessità dei
protagonisti di preservare e consolidare questo filo tramite un continuum tra donatore e ricevente”.
Tale continuum è rappresentato, sia nel
saggio di O’Connell (“Essere una
macchina”) sia nel romanzo di DeLillo (“Zero
K”), dalla cosiddetta “sospensione criogenica”, una sorta di stato di morte
non-morte o di vita non-vita, se vogliamo, in cui le persone – semplicemente –
attendono di essere “risvegliate”, riportate allo stato vitale effettivo. Una
forma di “resurrezione” o di “riattivazione”, per chi non se la sentisse di
applicare una parola tanto legata alla religione quanto lo è “resurrezione”.
“Quelli che alla
fine usciranno dalle capsule saranno esseri umani astorici. Saranno liberi
dagli encefalogrammi del passato, dai minuti e dalle ore rarefatte. E
parleranno una nuova lingua”.[25]
Ma, di religione, è
doveroso parlare comunque, in questo caso. O di fede.
“Un giorno sarà
possibile neutralizzare le circostanze che conducono alla fine. La mente e il
corpo verranno risanati, riportati in vita”. È
possibile che si venga a creare una “Tecnologia basata sulla fede. Ecco
cos’è. Un altro dio. Non tanto diverso, alla fine, da alcune nostre divinità
del passato. Solo che è un dio reale, questo è vero, mantiene le promesse. La
vita dopo la morte”.[26]
Solo fiction? Potrebbe esserlo, ma
resta il fatto che le circostanze sono tali da portare a considerare anche
questa eventualità, cioè che venga fondata una nuova religione: una religione
che venera la scienza e, per estensione, il suo fautore, ovvero l’uomo. Niente
più “Polvere sei e polvere ritornerai”, in poche parole. Ma cosa implicherebbe
il fatto di “tornare a vivere”? Saremo ancora “noi”, una volta “riattivati”?
Avremo ancora i nostri nomi e i nostri ruoli sociali o sarà tutto diverso? Le
percezioni saranno le stesse che avevamo prima di essere messi “in
sospensione”?
“Nel corso degli
anni ci saranno dei progressi. Parti del corpo verranno sostituite o ricostruite. […] Un riassemblaggio, atomo
per atomo. Sono straconvinta che mi risveglierò con una nuova percezione del
mondo”.[27]
“Ci pensi mai al
futuro? A come sarà tornare? Il corpo sarà lo stesso, oppure potenziato; ma la
mente? La coscienza rimarrà inalterata? Sarai la stessa persona? Tu muori in
quanto quella determinata persona con quel dato nome e con la storia e i
ricordi e i misteri raccolti in quella persona e quel nome. Ma ti risveglierai
con tutte queste cose intatte? Sarà semplicemente come il mattino dopo una
bella dormita?”[28]
“Cosa accade
all’idea del continuum – passato, presente e futuro - in una cella criogenica?
Si è in grado di concepire i giorni, gli anni, i minuti? O questa facoltà si
affievolisce fino a venir meno? Quanto si è umani senza la nozione del tempo?
Più umani che mai? O si ritorna a uno stato fetale, lo stato di un essere non
nato?”[29]
Il tempo… anche
quello rimarrà in sospensione…
“Il tempo è
multiplo, il tempo è simultaneo. Questo momento succede, è successo,
succederà”.[30]
“Il tempo è un’invenzione del movimento. Chi non
si muove non si accorge del tempo che passa”.[31]
“Filmi un’auto che
sfreccia su una strada, velocizzi l’immagine all’infinito e… l’auto scompare.
Quindi, che prova abbiamo della sua esistenza? Il tempo dà legittimità alla sua
esistenza: il tempo è la sola vera unità di misura; è la prova dell’esistenza
della materia. Senza tempo noi non esistiamo”.[32]
Ho sempre pensato
che fossimo stati noi umani a dare vita al concetto di tempo (vedi articolo “Riflessioni sulla Macchina del Tempo”),
mentre in questo frangente si propone l’idea che sia il tempo a fornire la
prova della nostra esistenza e… devo ammettere che provo un senso di vertigine
al ribaltamento di pensiero, ma tant’è. Ancora
una volta è bellissimo mettersi in gioco per arrivare a formulare nuove teorie!
Ora: passi l’idea
che il fatto di avere più tempo da dedicare alla vita può rappresentare una
positiva opportunità, ma da lì a voler vivere eternamente c’è un abisso; e non
credo che tutti sarebbero disposti ad adattarsi a un’esistenza senza fine. Mi
domando se, alla lunga, rischieremmo di perdere di vista il significato della
vita (che – FORSE - risiede proprio nella sua durata limitata); va detto,
infatti, che una buona parte delle cose che facciamo “trova il suo propellente nella
paura di morire”.[33]
A causa o – al contrario – grazie alla nostra mortalità ci comportiamo nel modo
in cui ci comportiamo, pertanto eliminando quella che rappresenta la nostra
spinta in avanti, la nostra propulsione, non è logico pensare che
modificheremmo in maniera sostanziale anche la nostra essenza di umani?
“-È nella natura
umana voler sapere di più, sempre di più, sempre di più – ho detto. –Ma è anche
vero che quello che non sappiamo ci rende umani. E quello che non sappiamo non
ha fine. […] –Mentre il tempo in cui non
siamo vivi è infinito. […] –Se qualcosa o qualcuno non ha inizio, allora posso
credere che quest’uomo, questa donna, questa cosa non abbia nemmeno una fine.
Ma se sei uscito da un utero o da un uovo o sei germogliato dalla terra,
significa che fin dall’inizio hai i giorni contati”.[34]
Quel
che dicevamo qualche riga fa: la fine è nell’inizio e l’inizio è nella fine.
“Tutte le storie
hanno inizio dalla nostra fine: le inventiamo perché siamo mortali”[35],
sostiene O’Connell il quale prosegue asserendo che “Siamo una specie nevrotica
proprio a causa della nostra mortalità, perché la morte ci sta sempre col fiato
sul collo”.[36]
“-Io voglio morire
e farla finita una volta per tutte - Lei no? – mi ha chiesto.
-Non lo so.
-Che senso ha
vivere se alla fine non si muore?”[37]
È appurato, la
morte può fare paura, può incutere un timore senza pari, ma saremmo davvero più
felici se la eliminassimo dall’equazione dell’esistenza?
Nel suo “Le intermittenze della morte”, Saramago
ha ipotizzato cosa accadrebbe se, di colpo, la morte cessasse di mietere vittime.
Ne è nato un libro denso di eventualità più che verosimili, oserei dire
tristemente realistiche.
“[…] nessuno muore
più. La gioia è grande, la massima angoscia dell’umanità sembra sgominata per
sempre. Ma non è tutto così semplice: chi sulla morte faceva affari per esempio
perde la sua fonte di reddito. E cosa ne sarà della Chiesa, ora che non c’è più
uno spauracchio e non serve più nessuna resurrezione? I problemi, come si vede,
sono molti e complessi”.[38]
Non morire è un
fatto “contrario alle norme della vita”[39]
e potrebbe causare “enorme turbamento” [40]in
molti ambiti, dunque. Partiamo dalla Chiesa:
“[…] senza morte
non c’è resurrezione, e senza resurrezione non c’è chiesa”.[41]
“[…] come le è
venuto in mente che dio potrebbe volere la propria fine, affermarlo è un’idea
assolutamente sacrilega, forse la peggiore delle bestemmie”.[42]
“[…] il vantaggio
della chiesa è che, anche se a volte non sembra, nel gestire ciò che sta in
alto, governa ciò che sta in basso. […] Che farà la chiesa se non morirà mai
più nessuno […] che farà lo stato se non morirà mai più nessuno, Lo stato
tenterà di sopravvivere, anche se dubito molti che ci riuscirà, ma la chiesa,
La chiesa, signor primo ministro, si è talmente abituata alle risposte eterne
che non riesco a immaginarmela darne delle altre”.[43]
“[…] l’altra nostra
specialità […] è stata di neutralizzare, con la fede, lo spirito curioso”.[44]
In realtà ritengo che qui la questione riguardi più che altro il fatto che
l’uomo inizierebbe a riporre la propria fede in un dio che non ha nulla a che
fare con l’Istituzione clericale… Verrebbero deposte le tutte le autorità
religiose, fino a quel momento dette tali, e ne verrebbero probabilmente
istituite altre. Il Dio della resurrezione verrebbe bellamente soppiantato dal
dio dell’immortalità: in questo caso l’uomo arriverebbe a celebrare sé stesso
in quanto “creatore” della vita eterna. Qualcuno, a questo punto, potrebbe sollevarsi
asserendo che, se un Dio può essere soppiantato, allora non esiste. In fondo,
nessuno l’ha mai visto; non direttamente, almeno. Ma la stessa cosa vale per la
morte: chi l’ha mai vista in faccia, sempre che abbia una faccia? Si ipotizza
l’esistenza di Dio perché esiste l’uomo e – allo stesso modo – si ipotizza
l’esistenza della morte perché quando c’è lei non ci siamo più noi, o meglio, i
nostri cari… Anche perché, se – effettivamente – non ci fossimo più noi , non
potremmo avere coscienza i non essere più al mondo. Se non hai coscienza di
essere vivo, forse non sei più vivo (o sei in una condizione - come il coma o
l’anestesia totale - che non ti permette di avere coscienza di te stesso), ma
come fai a sapere di non essere vivo se non ne hai coscienza. Non si può avere
coscienza della morte, quando si è morti… È un discorso molto intricato, lo so,
ma vi invito a riflettervi su ugualmente. Soprattutto sulla questione
riguardante il coma e l’anestesia generale, perché fa riferimento alla domanda
sollevata alcune pagine fa: quando possiamo dire che una persona è davvero
morta?
Tornando al
confronto che ha come protagonisti Dio e la morte, Saramago fa delle
interessanti considerazioni dalle quali si evince che le due “entità” sopra
citate sono molto simili tra di loro. Vediamo come:
“In pubblico, sì,
la morte si rende invisibile, ma non in privato, come hanno potuto comprovare,
nel momento critico, lo scrittore marcel proust
(le minuscole e la punteggiatura sono usate volutamente in modo errato, nel
testo, per esigenze del testo stesso; n.d.r.) e i moribondi dalla vista
penetrante. Già il caso di dio è diverso. Per quanto si sforzasse non riuscirebbe mai a rendersi
visibile agli occhi umani, e non perché non ne sarebbe capace visto che per lui
nulla è impossibile, ma semplicemente perché non saprebbe che faccia assumere
per presentarsi agli esseri che si suppone abbia creato, e la cosa più
probabile è che non li riconoscerebbe, oppure, forse ancora peggio, che loro
non riconoscerebbero lui. C’è anche chi dice che, per noi, è una grande fortuna
che dio non voglia apparirci, perché il terrore che abbiamo della morte sarebbe
come un giochetto da ragazzi a paragone dello spavento che ci prenderemmo se
capitasse una cosa del genere. Insomma, di dio e della morte non si sono
raccontate altro che storie, e questa è soltanto una in più”.[45]
È chiaro, leggendo
queste parole che “La morte assomiglia molto a dio”[46]
pur essendo diametralmente opposta. Anche per quanto concerne il sesso. Dio è,
infatti, rappresentato come un maschio (nella tradizione occidentale), pur
avendo in sé sia la natura maschile sia quella femminile (anche se dubito che
il principio vitale abbia un sesso); la Morte, invece, è spesso rappresentata
come una femmina (anche se in alcuni casi si parla di “Tristo Mietitore”).
Naturalmente questo tipo di rappresentazione non costituisce la regola, mi
riferisco anche alla filmografia: un esempio fra tutti è quello di “Vi presento Joe Black”, in cui la
persona incaricata di ricoprire il ruolo della morte è Brad Pitt, ovvero un
maschio.
L’uomo sta provando
a uccidere la morte e questo mi porta a domandarmi: la Morte può morire? Se
potesse morire significherebbe che è dotata di un principio vitale, ma – dunque
– la Morte è viva? Lo è mai stata? Oppure è immortale? E Dio, può morire? In
fondo, “Dio è, ma non esiste”.[47]
A quanto pare, queste domande non sono una mia prerogativa solamente mia:
leggete la citazione seguente, tratta da “Metafisica
dei tubi” e capirete che cosa intendo:
“Aver sfiorato la
morte non intaccava la mia convinzione di essere una divinità. Perché gli dei
dovrebbero essere immortali? In che modo l’immortalità renderebbe divini? La
peonia è forse meno sublime perché appassirà?”[48]
Torniamo ai
problemi di ordine pratico in cui si incorrerebbe se davvero sconfiggessimo
quella che da molti è ritenuta una nemica senza pari, ma che, forse, a guardar
bene, tanto nemica magari non è.
“Perché se gli
esseri umani non morissero, allora tutto passerebbe a essere permesso, E questo
sarebbe un male, domandò il filosofo vecchio, Tanto quanto il non permettere
niente”.[49]
“-Una volta che
avremo imparato a dominare il prolungamento della vita e ci saremo avvicinati
alla possibilità di diventare eternamente rinnovabili, cosa sarà delle nostre
energie, delle nostre aspirazioni?
-Delle nostre
istituzioni sociali che abbiamo costruito.
-Stiamo progettando
una cultura futura basata sul letargo e l’autocompiacimento?
-La morte non è
forse una fortuna? Non definisce il valore della nostra esistenza, di minuto in
minuto, di anno in anno?
-Tante altre
domande.
-Non ci basta
vivere un po’ più a lungo grazie ai progressi della tecnologia? Dobbiamo per
forza andare avanti all’infinito?
-Perché sovvertire
una scienza innovativa con abborracciati eccessi umani?
-L’immortalità
letterale finisce per comprimere le mostre d’arte più durature e le meraviglie
culturali riducendole a nulla?
-Di cosa
scriveranno i poeti?
-Che cosa sarà
della storia? Che sarà dei soldi? Che sarà di Dio?
[…]
-Non stiamo forse
preparando la strada per raggiungere livelli incontrollabili di popolazione, e
di stress ambientale?
-Troppi corpi che
vivono in uno spazio insufficiente.
Non finiremmo per
diventare un pianeta di persone vecchie e ingobbite, decine di miliardi di
sorrisi sdentati?
-E quelli che
muoiono. Gli altri. Ci saranno sempre gli altri. Perché alcuni continuerebbero
a vivere e altri dovrebbero morire?
-Metà della
popolazione mondiale impegnata a ristrutturare la cucina di casa, e l’altra
metà che muore di fame.
-Siamo disposti a
credere che tutte le malattie che affliggono la mente e il corpo saranno curabili
nel contesto della nostra illimitata longevità?
[…]
-L’elemento
fondamentale della vita è il fatto che essa ha una fine.
-La natura ci vuole
sterminare per tornare alla sua forma intatta e incontaminata. [Si può pensare ad
un parallelismo di questa affermazione con il concetto di Morte con la “M”
maiuscola ipotizzato da Saramago, n.d.r.].
-A cosa serviamo se
viviamo per sempre?
-Quale ultima
verità ci troveremo davanti?
-Non è in fondo lo
stimolo del nostro essere mortali quello che ci rende preziosi per le persone
che ci circondano?
[…]
-Cosa significa
morire?
-Dove sono i morti?
-Quando smettiamo
di essere quello che siamo? [Qui, invece,
risulta ben evidente la questione – sollevata poco sopra – riguardante i canoni
che renderebbero una persona un corpo morto, n.d.r.].
-Che cosa sarà
della guerra?
-Questi sviluppi
segneranno forse la fine delle guerre o determineranno un nuovo livello di
conflitti generalizzati?
-Quando la morte
individuale non sarà più un evento inevitabile [morte
con la “m” minuscola, n.d.r.], che sarà dell’idea insidiosa di una
distruzione nucleare?
-I limiti
tradizionali cominceranno a scomparire?
-I missili
scenderanno di propria volontà dalle
rampe di lancio?
-La tecnologia è
animata da un desiderio di morte?
Tante altre
domande.
-Ma noi le
rigettiamo, queste domande. Perché non centrano il punto cruciale della nostra
impresa. Noi vogliamo ampliare i confini di ciò che significa essere umani -– ampliarli
per poi superarli.
[…]
-I dormienti nelle
loro capsule, nei loro gusci. Quelli attuali e quelli che verranno.
-Sono realmente
morti? Possiamo definirli morti?
-La morte è una
creazione culturale, non una rigida determinazione di ciò che è umanamente
inevitabile.
-E sono gli stessi
che erano prima di entrare nella camera?”[50]
DeLillo ha
sollevato interrogativi più che leciti nel suo “Zero K”, portando il lettore a domandarsi quali svantaggi
comporterebbe la vita eterna. Forse, dopotutto, la morte non esiste per
rovinarci la vita, ma per consentirci di fare un’esperienza che ha proprio
nella sua durata limitata il significato fondamentale. Senza contare la crisi
demografica che deriverebbe da una sovrappopolazione incontrollabile, la quale
porterebbe inevitabilmente a una crisi sociale, che – a sua volta –
scatenerebbe una crisi politica e – com’è logico – una devastante crisi
economica. Prima o poi ci troveremmo costretti a esercitare un controllo delle
nascite drastico e definitivo, dovremmo riqualificare tutti coloro che svolgono
professioni quali, ad esempio, gli impresari di pompe funebri, gli assicuratori
che si occupano di polizze sulla vita, gli impiegati dell’Ente pensionistico e
così via. Anche le Istituzioni sulle quali si basano, da secoli, i nostri
Stati, perderebbero il loro significato. Immaginate cosa accadrebbe al
matrimonio… Inizialmente, poi, dovremmo occuparci anche del numero esorbitante
di vecchi… Ho detto “inizialmente” perché la scienza e la tecnologia stanno
muovendo i loro passi anche nel campo del ringiovanimento.
“Manipolare il
processo di invecchiamento, invertire il processo biologico delle malattie
degenerative”.[51]
Anche perché – in
caso contrario – si rischierebbe di incorrere nell’eventualità prospettata da
Marco Presta nel suo libro intitolato “Un
calcio in bocca fa miracoli”:
“Ho letto sul
giornale che abbiamo la classe dirigente più stagionata di tutto l’Occidente.
Il manager e il ministro sono sempre stravecchi, come il parmigiano. Le grandi
riforme in questo Paese, vista la situazione, può farle solo la morte”.[52]
Non si prospetta,
quindi, soltanto la “cura” per “guarire” dalla morte, ma anche quella per
gabbare gli effetti del tempo sui nostri corpi, se mai – in futuro – vorremo
mantenere i nostri “involucri” di carne e ossa. C’è da aspettarsi, infatti, che
non tutti abbiano il desiderio di trasformarsi in un mucchio di ingranaggi e
circuiti elettronici…
“I robot, in un
modo o nell’altro, sono il nostro futuro. […] noi stessi finiremo per ESSERE
robot, e le nostre menti verranno trasferite su macchine molto più potenti ed
efficienti dei nostri corpi da primati”.[53]
Perché:
“Non c’è limite a
quel che si può raggiungere se si affronta la questione umana come un problema
di ingegneria. E l’ostacolo principale è costituito dalla biologia. Il problema
della natura è la natura stessa”.[54]
“In fin dei conti,
forse essere caricati su supporti digitali non sarà così scioccante. Viviamo
già in questa relazione prostetica con il mondo fisico, viviamo già un sacco di
cose come estensioni del corpo. […] Ogni nuova interazione digitale aggiunge un
particolare al nostro ritratto di consumatori, l’unico che importi ai produttori
di tecnologie. Se esistessimo soltanto come pura informazione, quanto
peggiorerebbero le cose?”[55]
Il rapporto morboso
che molti hanno con il loro telefonino, con il loro computer o con il
televisore è sintomatico, in effetti, di una trasformazione già in corso: da
esseri umani a cyborg e da cyborg a robot il passo è forse più breve di quel che pensiamo… E, forse,
una volta che sulla Terra ci saranno solamente robot, questi non avranno gli stessi bisogni degli esseri umani e
potranno godersi la loro eternità senza grossi intoppi, ma, fino a quando il
Mondo sarà popolato da umani o ibridazioni umane, i rischi saranno tanti.
Una volta toccata
con mano l’immortalità, infatti, potremmo stancarci di essa, potremmo
cominciare a soffrire per la mancanza di stimoli che, in precedenza, erano
dettati dai limiti del tempo; il fisico sarà sano, ma la mente potrebbe
iniziare a risentire di una sorta di frustrazione mentale. Sarà previsto il
ricorso all’eutanasia o ai suicidi assistiti, in simili casi? Verrà studiato un
modo per rimpiazzare quella che un tempo veniva accolta come una liberazione
dalle sofferenze terrene?
“La luce, i
sentimenti e i sensi spariranno: solo in questa condizione troverò la mia
felicità”.[56]
Avrà termine, prima o poi, la spinta a
superarsi, propria dell’essere umano?
“Continuiamo a
superarci. È questo il nostro obiettivo”.[57]
“Senza saperlo
stavo assistendo alla rivelazione di una delle leggi più sorprendenti
dell’universo: ciò che non avanza regredisce. C’è la crescita e poi il declino;
in mezzo, non c’è niente. L’apogeo? Non esiste. È un’illusione”.[58]
È possibile che, col tempo, emerga “una
religione della morte in relazione al nostro prolungamento della vita”?[59]
“-Ridateci la morte. […] In una forma o
nell’altra, le persone ritorneranno alla loro originaria ossessione per la
morte per riaffermare lo schema dell’estinzione. –La morte è un’abitudine
difficile da spezzare”.[60]
Nel suo capolavoro,
Mary Shelley scrisse:
“Quanto sono
mutevoli i nostri sentimenti, e quanto è strano l’amore irriducibile che
abbiamo per la vita anche al culmine dell’infelicità!”[61]
Sarà vero anche nel
caso di una vita senza fine? Oppure arriveremo a maledire noi stessi come
creatori dell’eternità, proprio come la Creatura maledisse Frankenstein? Stiamo
cercando il progresso animati, spero, da impulsi benevoli, venati – magari – da
una folle ingenuità, ma non corriamo il rischio di trovarci in una situazione
identica a quella in cui poi si trovò il personaggio creato dalla Shelley?
“La ricchezza non
era che un basso scopo, ma che gloria avrei conseguito se avessi scoperto il
modo di bandire le malattie dal corpo umano, rendendo l’uomo immune da ogni
tipo di morte che non fosse quella violenta!”[62]
“Se tanto è stato
raggiunto – esclamò l’anima di Frankenstein – io mi spingerò molto più avanti;
seguendo le orme dei passi già percorsi
sarò il pioniere di una nuova via, esplorerò poteri sconosciuti e
svelerò al mondo i più profondi misteri della creazione”.[63]
“La vita o la morte
non erano altro che un piccolo prezzo da pagare al fine di conseguire la
conoscenza a cui aspiravo, per il dominio che avrei acquisito, e tramandato,
sugli elementi nemici della razza umana”.[64]
Questi erano i
pensieri di Frankenstein prima di comprendere le conseguenze delle proprie
azioni, prima che la Creatura fosse “nata” si rivolgesse a lui nella maniera
seguente:
“Ricordati che io
sono la tua creatura: dovrei essere il tuo Adamo, ed invece sono piuttosto
l’angelo caduto, che tu scacci ingiustamente dalla gioia. Ovunque vedo la
felicità da cui io stesso sono irrevocabilmente escluso. Ero benevolo e buono:
è stata l’infelicità a rendermi un demonio. Fammi felice e sarò di nuovo pieno
di virtù”.[65]
Cosa diventeremo?
In cosa ci trasformeremo? Vivremo la
nostra eternità in pace, gli uni con gli altri, o cercheremo vendetta per le
azioni sconsiderate che abbiamo compiuto nei confronti dello stesso genere
umano? Ci sentiremo gravati “dei doveri di un creatore nei confronti della
propria creatura”[66]?
A quel punto, cercheremo la morte? “Perché non morii allora? Più infelice di
qualsiasi uomo prima di me, perché non mi fu concesso di sprofondare nell’oblio
della quiete? La morte porta via con sé molti bambini pieni di vigore, le uniche
speranze per i loro affettuosi genitori, quante spose e quanti giovani amanti
un giorno sono nel fiore della salute e della speranza per essere preda,
l’indomani, dei vermi e della corruzione sepolcrale! Di che fibra ero dunque
fatto tanto da poter resistere a così tanti traumi, che, come il giro della
ruota della tortura, di continuo rinnovavano il mio tormento?
Ma ero condannato a
vivere […]”.[67]
“Tutte le mie
ricerche e speranze non servono più a nulla, e come l’arcangelo che osò
aspirare all’onnipotenza, mi ritrovo incatenato all’inferno per l’eternità”.[68]
Molte altre
problematiche potrebbero sorgere nel momento in cui non ci fosse più
l’amica/nemica con la falce a mettere fine alla nostra vita: non morendo, chi
crede nell’Aldilà, sarebbe condannato a non vedere più i compianti defunti.
“La morte è l’unica
porta per il paradiso celeste dove, si diceva, nessuno è mai entrato da vivo”.[69]
È pur vero che ci
sono sempre i ricordi che, come ho scritto anche nell’articolo dedicato al
Tempo, ci permettono di eludere (in parte) quell’alone di ineluttabilità che ci
si appiccica addosso quando perdiamo qualcuno. Lo spiega molto bene anche la
Nothomb in questo stralcio tratto da “Metafisica
dei tubi”:
“Tua nonna è morta
ma il ricordo di lei la fa vivere. Se riesci a scrivere le meraviglie del tuo
paradiso nella materia del tuo cervello magari non trasporterai nella tua testa
la loro realtà miracolosa, ma la loro forza, quella sì”.[70]
A qualcuno basta
questo, ma tanti – com’è facile pensare – non si rassegnano, soprattutto se non
si capacitano dei motivi per i quali si muore. Come nel seguente caso:
“-Perché si muore?
-Perché lo vuole
Dio.
-Lo credi davvero?
-Non lo so. Ma ho
visto morire tanta di quella gente: […] Non so se Dio ha voluto tutto questo.
-Allora perché si
muore?
-È normale morire
quando si è vecchi.
-Perché?
-Quando si è
vissuto a lungo si è stanchi. Per una persona anziana, morire è come andare a
letto È una cosa bella.
-E morire quando
non si è vecchi?
-Questo non so come
sia possibile”.[71]
Ancora una volta,
come spesso accade quando non riesce a capire certe cose, l’uomo tira in ballo
Dio; forse perché – come scriveva Emerson - “L’uomo è un Dio in rovina”[72]?
O forse perché – davvero – esistono dei “parallelismi fra transumanesimo e
cristianesimo […] specie per quanto riguarda il paragone fra l’estasi
escatologica cristiana e l’idea della Singolarità”[73]?
Nel senso che “Sono entrambe proiettate verso un momento futuro determinato; entrambe
comporteranno, in definitiva, la sconfitta irrevocabile della morte”[74]?
“A me pare che il
transumanesimo esprima un nostro profondo desiderio di trascendere la
confusione e le pulsioni e l’impotenza e la vulnerabilità del corpo, tremante
nell’ombra sempre più cupa della sua decadenza. Un anelito, storicamente
appannaggio della religione, di cui oggi si sta impadronendo la tecnologia.
Wesley J. Smith considerava il transumanesimo un abominio, una perversione, una
vacua e grottesca parodia della religione. Io lo vedo come una nuova
espressione di slanci e insoddisfazioni primordiali”.[75]
Anche nella stessa
richiesta tecnica a Google “Google, per favore, risolvi il problema
morte. Immortalità subito!”[76]
c’era, in fondo, qualcosa che riguardava la religione:
“Più che una
protesta era una supplica, una preghiera”. [Rivolta,
sì, al tecno-capitalismo, ma pur sempre una preghiera. N.d.r.] Come
a dire: “«Liberaci dal male»”.[77]
Anche perché “Se
tradizionalmente la morte era materia per preti e teologi, adesso se ne stanno
appropriando gli ingegneri e gli scienziati”.[78]
“[…] la scienza, o
meglio la fede nel progresso scientifico” sta “
sostituendo la religione quale vettore di aspirazioni e illusioni culturali
profonde”.[79]
“Ma provate solo a
immaginare il cristianesimo, l’islam o l’induismo in un mondo senza morte – che
è anche un mondo senza paradiso, inferno o reincarnazione”.[80]
E, in alternativa
alla reincarnazione, “Cosa troveremo qui? Una promessa che gode
di maggiori garanzie rispetto a tutti gli ineffabili aldilà delle religioni
organizzate di questo mondo.
-Ci serve davvero
una promessa? Perché non morire e basta? Perché siamo umani e abbiamo bisogno
di aggrapparci a qualcosa. In questo caso non alla tradizione religiosa, ma
alla scienza del presente e del futuro”.[81]
Harari continua
questo discorso sostenendo che gli esseri umani del futuro “saranno in effetti
amortali, piuttosto che immortali. A differenza di Dio, i futuri superuomini
potranno ancora morire in qualche guerra o incidente, e niente li riporterà
indietro dagli inferi. Ad ogni modo, a differenza di noi mortali, la loro vita
non avrà una data di scadenza”. E chiude dicendo una cosa che non so se sposare
o meno, ma su cui, sicuramente, vale la pena riflettere:
“Per essere
preciso, la medicina moderna non ha contribuito ad allungare la nostra
aspettativa neppure di un singolo anno. Il suo più grande trionfo è stato di
averci salvato dalla morte PREMATURA, e di permetterci di godere appieno dei
nostri anni”.[82]
Insomma, la
sconfitta della morte porterebbe forse molta felicità, almeno inizialmente, ma
poi, col passare del tempo, provocherebbe di sicuro moltissimi danni:
“È questo, in
sostanza, il principio della Singolarità e del suo lato oscuro, rappresentato
dal rischio esistenziale catastrofico. Il termine « Singolarità» è stato
mutuato in primo luogo dalla fisica, nel cui ambito denota l’esatto punto
centrale di un buco nero, dove la densità della materia diventa infinita e le
leggi dello spaziotempo cominciano a incrinarsi. […] Ecco cos’è la Singolarità:
il punto oltre il quale si presume di non poter vedere”.[83]
Ma, poi: perché
vivere in eterno? Mary Shelley lascia intendere che l’amicizia, l’amore e gli
affetti possono recare tanta gioia, tanta felicità e serenità che non sarebbe
necessario restare su questa terra per sempre. Se, nell’arco della nostra vita,
ci circonderemo di affetti veri, sinceri e profondi, questi ci appagheranno a
sufficienza da non bramare di protrarre la nostra esistenza per l’eternità.
Magari non si potrà evitare il dispiacere di lasciare le persone che abbiamo
amato e magari le persone che abbiamo amato soffriranno per un po’ la nostra
mancanza, ma poi la serenità prenderà il posto della malinconia. Probabilmente
ha più senso provare pietà per i vivi che per i morti…
Prima di chiudere
questo articolo/confronto bibliografico sulla morte – in cui siamo passati per
transumanisti e transrazionali (Don DeLillo), creature e creatori, religione e
scienza/tecnologia - vorrei, però, rivolgere una domanda a tutti coloro che lo
sono arrivati a leggere fin qui: cosa
fareste se foste a conoscenza della data esatta della vostra dipartita? Ve
lo domando anche perché so che “Pronti a morire non significa essere
disposti a scomparire. Il corpo e la mente possono dirci che è ora di lasciarci
il mondo alle spalle. Ma noi ci aggrappiamo lo stesso, con le unghie e con i
denti”.[84]
[1]“Homo
Deus”, Yuval Noah Harari. Bompiani. P. 38
[2] “Essere
una macchina”, Mark O’Connell. Adelphi. P. 180
[3] “Essere
una macchina” , Mark O’Connell. Adelphi. P. 14
[4] “Homo
Deus”, p. 44
[5] “Essere
una macchina”, p. 16
[6] “Essere
una macchina”, P. 16
[7] “Essere
una macchina”, P. 15
[8] “Essere
una macchina”, P. 75
[9] “Essere
una macchina”, P. 75
[10] “Zero
K” Don DeLillo. Einaudi. P. 50
[11] “Zero
K”, p. 156
[12] “Frankenstein”,
Mary Shelley. Feltrinelli. P. 105
[13] “Metafisica
dei tubi”, Amélie Nothomb Voland. P. 36-37
[14] “Metafisica
dei tubi”, P. 55
[15] “Metafisica
dei tubi”, P. 37
[16] “I tabù
del mondo”, Massimo Recalcati. Einaudi. P. 151
[17] “Le
intermittenze della morte”, José Saramago, Feltrinelli. P. 77-79
[18] “Essere
una macchina”, P. 91
[19] “Metafisica
dei tubi”, P. 35
[20] “Metafisica
dei tubi”, P. 35
[21] “Metafisica
dei tubi”, P. 38
[22] “Homo
Deus”, P. 38
[23] “Metafisica
dei tubi”, P. 18
[24] “Zero
K”, P. 124
[25] “Zero
K”, P. 117
[26] “Zero
K”, P. 13
[27] “Zero
K”, P. 45
[28] “Zero
K”, P. 46
[29] “Zero
K”, P. 62
[30] “Zero
K”, P. 217
[31] “Metafisica
dei tubi”, P. 15
[32] Dal
film “Lucy” (2014), diretto, scritto e co-prodotto da Luc Berson e interpretato
da Scarlett Johansson, Morgan Freeman, Min-sik e Amr Waked.
[33] “Homo
Deus”, P. 50
[34] “Zero
K”, P. 118
[35] “Essere
una macchina”, P. 3
[36] “Essere
una macchina”, P. 53
[37] “Zero
K”, P. 39
[38] “Le
intermittenze della morte”, Retro di copertina.
[39] “Le
intermittenze della morte”, P. 13
[40] “Le
intermittenze della morte”, P. 13
[41] “Le
intermittenze della morte”, P. 21
[42] “Le
intermittenze della morte”, P. 21
[43] “Le
intermittenze della morte”, P. 22
[44] “Le
intermittenze della morte”, P. 23
[45] “Le
intermittenze della morte”, P. 151-153
[46] “Le
intermittenze della morte”, P. 153
[47] “Zero
K”, P. 190
[48] “Metafisica
dei tubi”, P. 54
[49] “Le
intermittenze della morte”, P. 39
[50] “Zero
K”, P. 63-68
[51] “Zero
K”, P. 113
[52] “Un
calcio in bocca fa miracoli”, Marco Presta. Einaudi. P. 5
[53] “Essere
una macchina”, P. 123
[54] “Essere
una macchina£, P. 165
[55] “Essere
una macchina”, P. 78
[56] “Frankenstein”,
P. 310
[57] “Zero
K”, P. 113
[58] “Metafisica
dei tubi”, P. 100
[59] “Zero
K”, P. 68
[60] “Zero
K”, P. 68
[61] “Frankenstein”,
P. 250
[62] “Frankenstein”,
P. 91
[63] “Frankenstein”,
P. 100-101
[64] “Frankenstein”,
P. 75
[65] “Frankenstein”,
P. 164
[66]
“Frankenstein”, P. 166
[67] “Frankenstein”,
P. 255
[68] “Frankenstein”,
P. 296
[69] “Le
intermittenze della morte”, P. 139
[70] “Metafisica
dei tubi”, P. 36-37
[71] “Metafisica
dei tubi”, P. 38-39
[72] “Essere
una macchina”, P. 14
[73] “Essere
una macchina”, P. 180
[74] “Essere
una macchina”, P. 180
[75] “Essere
una macchina”, P. 181
[76] “Essere
una macchina”, P. 197
[77] “Essere
una macchina”, P. 190
[78] “Homo
Deus”, P. 41
[79] “Essere
una macchina”, P. 75
[80] “Homo
Deus”, P. 39
[81] “Essere
una macchina”, P. 68
[82] “Homo
Deus”, P. 48
[83] “Essere
una macchina”, P. 105
[84] “Zero
K”, P. 68