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Julian Barnes, "Elizabeth Finch", Einaudi.
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“Da ciò che ho fatto e da ciò che
ho detto
nessuno
cerchi di capire chi sono stato”.
Ha ragione, il poeta, ma è
inevitabile che – se ci si trova di fronte a una persona intrigante - si
indaghi: la curiosità fa parte dell’essere umano.
E Julian Barnes ha creato un
personaggio femminile che ha una forza dirompente e attiva i recettori della
curiosità, per così dire.
Elizabeth Finch fa l’insegnante, ed è insegnante. È una donna estranea
alla sua epoca in molti modi. Nobile d’animo, autonoma di pensiero. Intelligente,
arguta, brillante. Il narratore – di lui parlerò tra poco - ci dice che “non
era in alcun modo una figura pubblica” e “a googlelarla non si scopre
granché”.
In un’epoca in cui l’onnipresenza
e l’onniscienza non sono più prerogative della sola divinità, ecco che emerge
EF, proveniente da quell’ “epoca che precedeva il portatile dentro la
classe e i social media fuori e in cui le notizie arrivavano dai giornali e il
sapere dai libri”.
Sbucata fuori dal passato non aiuta semplicemente i suoi studenti, li sprona a
formarsi pensieri autonomi e a discuterne. Propone alternative e idee che
sovvertono il punto di vista canonico oppure lo accentuano.
“Pareva esistere a lato del
tempo, se non al di sopra”.
Mai sprezzante di fronte ai
contributi intellettuali e di pensiero dei suoi studenti, seppur tali contenuti
potessero essere miseri. In grado di trasformare la “paccottiglia” delle idee
studentesche in concetti degni d’interesse.
Rettifica senza mai sminuire,
guidando – intanto – lontano dall’ovvio. Incoraggia, stimola.
Suggerisce libri da leggere, ma
più che altro invoglia a leggere, sprona all’approfondimento.
EF fa di tutto perché i suoi
studenti continuino a elaborare le idee che lei mette a loro disposizione.
Cerca di renderli autosufficienti, anche se sa che esserlo non significa
necessariamente essere indipendenti.
Serafica, ironica, divertente,
mai snob né paternalistica.
Disponibile, ma inafferrabile.
Cortese, ma ferma. Ha il dono di far
sentire più intelligente anche l’interlocutore più insicuro.
“E la consapevolezza di avere soltanto
settantacinque minuti con lei rendeva più incisiva non solo la scelta dell’argomento,
ma anche, in un certo senso – anzi, decisamente -, la mia intelligenza. Ero più
acuto in sua presenza. Sapevo più cose, ero più convincente; e morivo dal
desiderio di compiacerla”.
Coltiva interessi intellettuali
senza tempo.
A tutto sembra opporre una calma
indifferenza, sopporta il dolore stoicamente e non chiede aiuto a nessuno.
È dotata di una memoria
prodigiosa ed è amante dell’essenziale. Per lei, divertente e rigoroso non sono
in conflitto, formano – invece - un connubio.
“Non c’era nessuna misteriosità
in lei. Era sempre lucidissima. Diceva soltanto cose vere, che rendeva più vere
attraverso la scelta precisa delle parole. Ma se non voleva dirti qualcosa, ti
informava chiaramente che non l’avrebbe fatto. Non conosceva vie di mezzo,
sottili allusioni, né comode omissioni. […] Mentiva, ma lo faceva sapendo che
tu avresti capito, perciò la sua menzogna diventava una verità”.
E forse è proprio questo suo
essere così chiara e limpida che la rende tanto misteriosa, sia agli occhi dei
suoi studenti (in particolare di Neil, il narratore), sia a quelli del lettore.
J.B. ha creato un personaggio da
imitare ma inimitabile. Volutamente. EF è unica nel suo genere, perché
concentra in sé tutte le caratteristiche migliori ma, essendo inespugnabile dal
punto di vista privato, si rende assolutamente inimitabile. J.B., infatti, può
dare dei suggerimenti su come comportarsi a livello sociale ma non a livello
personale. Non ha una ricetta per l’amore (d’altronde, nessuno ce l’ha) o per
gli affetti, ma ha una ricetta per il buon insegnante. EF incarna ciò che un
buon maestro dovrebbe fare, non ciò che dovrebbe essere e questo rende EF una
donna in carne e ossa e contemporaneamente un’entità effimera e
irraggiungibile. Lei è da prendere ad esempio, ma non tanto come persona,
quanto nel modo di fare e di pensare.
EF è un mezzo. E l’altro
personaggio, Neil, è un altro mezzo, il medium
attraverso il quale J.B. può far passare le idee di EF.
EF è una chimera e più si cerca
di descriverla meno la si definisce, ma si chiarificano il carattere e i tratti
di chi sta cercando di definirla.
Su EF si può solo fantasticare. È
quel genere di persona che più si cerca di concretizzare più si idealizza.
“E non fate l’errore di pensare
che mi senta sola. Sono un tipo solitario, che è tutt’altra faccenda. Essere
soli è una forza; sentirsi soli una debolezza”.
La narrazione, come ho già
accennato, è dal punto di vista di Neil, uno dei suoi studenti, che mentre ci
racconta di EF lascia trasparire un po’ di sé, utilizzando – per entrambi, come
collante – un “pretesto” storico: la narrazione della figura di Giuliano l’Apostata.
J.B., attraverso la narrazione di
Neil, ci fornisce una descrizione di EF talmente dettagliata da renderla
paradossalmente leggendaria. E più si scava nel suo passato e nella sua vita
più il terreno frana su se stesso, lasciandoci con ancora più domande. J.B.
stimola la nostra curiosità svelandoci apparentemente tanto, ma realmente poco
o niente.
J.B. ci porta a fare dei
ragionamenti, dei collegamenti molto logici ma anche a pensare fuori dagli
schemi, incarnandosi nella figura leggendaria del personaggio da lui creato. E
ne esalta le caratteristiche leggendarie contrapponendolo alla figura del
narratore, Neil, così “umano” e “tangibile”.
Ci vorrebbe una EF nella vita di
ognuno: coinvolgente ma distaccata, rassicurante seppur “scardinatrice” di
certezze, forte ma mai invadente. Una su cui poter contare per camminare con le
proprie gambe; una da interpellare quando si ha bisogno di pensare; una fonte d’ispirazione
ma non un idolo; un contrasto con la frenesia e la superficialità del mondo
moderno, il quale dà l’illusione di conoscere tutto e tutti senza tuttavia
fornire la certezza di nulla.
Possiamo tentare di capire e di
comprendere, possiamo imparare, possiamo immaginare e possiamo inventare,
possiamo ipotizzare e, nei casi più estremi, teorizzare, ma non potremo mai
sapere o – peggio - pretendere di sapere.
“Impossibile, per i discenti, non
perdersi in congetture sulla sua inespugnabile vita privata e non restare
colpiti dalle sue idee”.
Crediamo di conoscere le persone,
ma in realtà non sappiamo nulla di loro e neppure di noi.
“Travisare la propria storia è
parte dell’essere una persona”.
E, in un certo senso, la prima
parte del libro (che riguarda più direttamente EF) sembra “scollegata” dalla
seconda. Ma, appunto, si tratta soltanto di apparenza, perché, in realtà, le
tante sfaccettature di Giuliano l’Apostata e le tante interpretazioni sulla sua
figura storica sono un altro modo per sottolineare il fatto che non possiamo
conoscere niente e nessuno con assoluta certezza. Nemmeno quelle cose che ci
sembrano assolutamente chiare e inequivocabili; nemmeno quelle persone che ci
paiono più trasparenti. Vedendola così, anche se non amate particolarmente la
Storia, apprezzerete comunque il libro nel suo complesso, in quanto amalgama di
Storia nelle storie e di storie nella Storia. Uno scioglilingua che va letto
prestando particolare attenzione alle maiuscole e alle minuscole…
Una persona avrà ritratti diversi
a seconda di chi la dipinge. EF non fa eccezione.
“Perché, vedete, questo la
rendeva solo più MIA”.
E nemmeno la Storia rimane fuori
da questo assioma, perché dipende sempre da chi la racconta.
“La memoria è dopotutto un’attività
dell’immaginazione”.
Anche gli storici, in fondo,
possono essere considerati grandi romanzieri…
Neil scrive di sé per scrivere di EF e studia Giuliano l’Apostata
per capire di sé e di lei. E per ricordarla/immaginarla.
“Quasi senza volerlo, continuai a
leggere di Giuliano l’Apostata; in un certo senso non riuscivo a lasciarlo
andare proprio come non riuscivo a lasciar andare EF”.
Perché lei gli ha lasciato una
sorta di eredità letteraria. Volontariamente? Forse sì, ma il mistero è tanto più
bello quanto più è fitto (e/o s’infittisce).
“Succedeva spesso: lei diceva una
cosa, tu non la capivi, però te la ricordavi, e anni dopo quadrava”.
Forse, in un certo senso, EF e
Neil sono opposti complementari che suggellano il loro incontro attraverso un
argomento che li accomuna: Giuliano l’Apostata. Forse.
“Elizabeth Finch” è un romanzo
ricco di temi storici, esistenziali, sociali, culturali, religiosi, emozionali,
sentimentali e filosofici.
È un romanzo meta-letterario,
metafisico, meta-storico e meta-religioso dove il prefisso “meta” comprende un “al
di là” molto ampio.
C’è molto materiale sul “relativismo”
della Storia (la Storia viene scritta dai vincitori e altre cose di questo
tipo), ma anche sul “relativismo” religioso: “La convinzione che la religione
in cui siamo nati, o alla quale abbiamo scelto di aderire, sia guarda caso l’unica
setta depositaria della verità fra centinaia di credenze pagane e apostate”.
È un po’ saggio Storico, un po’
romanzo biografico, ma anche un po’ testo filosofico.
Insomma, “Elizabeth Finch” è un
libro molto stratificato, acuto e ficcante; ed è particolare, davvero
particolare…
Vi lascio con due citazioni
interessanti su cui riflettere, pur sapendo che questo libro sprigiona pensieri
e riflessioni da ognuna delle sue 176 pagine.
“Il compito del presente è di
correggere la nostra visione del passato, un compito che si fa più urgente
quando il passato non può essere corretto”.
“Non potendo discutere con lei di
nessuna di queste cose, tornai alle parole cruciali che aprono il MANUALE di
Epitteto: «Le cose sono di due maniere; alcune in potere nostro, altre no».
Quelle in nostro potere «sono di natura libere, non possono essere impedite né attraversate»;
mentre quelle non in nostro potere sono «deboli, schiave, sottoposte a ricevere
impedimento, e per ultimo sono cose altrui». Si può essere liberi e felici
soltanto se si riconosce questa differenza essenziale tra ciò che possiamo e
ciò che non possiamo cambiare”.